Di Gustavo Adolfo Nobile Mattei.
Secondo appuntamento con “Rotolando verso Sud“, la rubrica settimanale di Irpinianews che, ogni settimana, ci condurrà in luoghi sconosciuti o poco conosciuti della nostra Regione e di quelle confinanti.
Un modo affascinante per scoprire o riscoprire terre del Sud dai sapori antichi, borghi imperdibili, itinerari da favola. Per la seconda puntata del nostro viaggio il cammino che ci porta da Savignano a San Leonardo di Siponto.
“Tra Savignano a Bovino, il Cervaro ha scavato una stretta gola. Ventidue chilometri di boschi ombrosi. Paesi che s’affacciano dall’alto: Greci, Montaguto, Panni e Orsara sorvegliano il tracciato sottostante. È la Via Regia delle Puglie, oggi ridotta a S.S.90. Strada malandata e dimenticata, dopo che i politici degli Anni ’60 decisero che il futuro sarebbe passato più a sud, lungo la nuova A16. Ma le vestigia di vecchie stazioni di posta, taverne e fontane ci raccontano una Storia gloriosa. Fu il viceré Perafan de Ribera, nel 1559, a definire un tragitto che avrebbe collegato Napoli e Lecce. La strada vide passare profughi, mercanti e guerrieri. E prim’ancora Normanni, Provenzali ed Albanesi. Se ci s’inerpicasse lungo le stradine laterali, che salgono verso minuscoli villaggi di pietra, le voci dei vecchi si farebbero incomprensibili. Lingue antichissime sopravvivono su questi monti, resistono all’avvento del conformismo anglofilo. Oggi non possiamo fermarci: la strada ci guida oltre.
Qualcosa di mistico ci spinge più avanti, una Storia che sentiamo nel sangue. È la prima volta che veniamo, ma è come se ci fossimo già stati in un’altra vita. Cosa ci lega alla strada? Ha cambiato pelle più volte, e l’asfalto ha coperto la pietra, e la pietra ha coperto il selciato. Prima di essere Regia e poi Statale, la strada era la Via Sacra Langobardorum. Un pezzo di Francigena precipitato a Mezzogiorno, che dalla tomba dell’apostolo Bartolomeo, a Benevento, si dirigeva verso il Gargano, dov’era apparso l’Arcangelo. Era la strada del pellegrino. Un po’ di vergogna, a pensarci, ti viene. Te le immagini quelle comitive di viandanti, camminare per giorni e giorni sotto il sole. Il viaggio era forse molto più che la meta, era una lenta ascesi. Noi con la nostra macchina, aria condizionata, brutalmente catapultati oltre il confine pugliese.
Superata Taverna del Ponte, sotto Bovino, la strada sale all’improvviso, accarezza una collinetta brulla, scende. Eccolo: desolato, assetato, infinito. È il Tavoliere, ed è quanto di più impensabile possa esserci per chi, come noi, è cresciuto nelle terre ondulate tra Sannio ed Irpinia. Una distesa di grano a perdita d’occhio, un orizzonte lontano che si sfuma nell’afa d’inizio estate. Strade diritte come fettucce, che tagliano le campagne e ti mostrano la bonifica che il Regime operò negli Anni Trenta. Piccole case tutte uguali, contrassegnate da un numero e dalla sigla ONC: opera nazionale combattenti. I borghi rurali di Giardinetto e Segezia sono piccoli gioielli di architettura razionalista o, se si vuole, di utopia applicata all’agricoltura. Pittura metafisica applicata alla Capitanata. Cattedrali nel deserto, ma pur sempre cattedrali. L’idea di uno sviluppo agricolo.
Un caffè. Dialetto stretto, troppo duro per capirlo fino in fondo. Foggia ci appare in fondo alla calura. Prostitute sulla strada, immondizia, segnaletica cattiva. La sfioriamo appena. Le ruote inciampano in una buca che sembra una voragine. Oltre gli scempi edilizi, appare un miraggio. A vivere da queste parti, sembra difficile credere che la terra non sia piatta: ma in fondo, dal nulla, si erge il Gargano con le sue montagne scoscese. Il cammino prosegue lungo una strada con tante, troppe corsie. I cartelli ci indicano un aeroporto che non è mai decollato: è il Gino Lisa, uno degli scali-bonsai che grida vendetta contro l’Italia del cemento e dello spreco. Non era questo ciò che ci aspettavamo dal cammino. Forse l’Arcangelo ci ha ingannati?
Un piccolo cartello marrone colpisce i miei occhi. La macchina è a 150: ma una frenata brusca, una sterzata netta e qualche “vaffa” dei passeggeri sono un prezzo ragionevole per lo spettacolo che ci compare innanzi. Non ce la aspettavamo, nella sua essenziale bellezza. Una chiesetta di pietra bianca, baciata dal sole: è l’Abbazia di San Leonardo in Lama Volara, un gioiello del XII secolo. Quanti viandanti trovarono rifugio tra le mura del suo ospedale, prima che cominciasse la ripida salita del Gargano? Quale scalpello forgiò le scene allegoriche su quei magnifici portali? E quale genio pensò di fare un foro gnomico nel tetto, giocando con la luce meridiana del solstizio d’estate? Scudi di cavalieri teutonici, dipinti sulle mura romaniche, ricordano un passato fiorente. San Michele, scolpito nel pulvino, scaccia i demoni e conduce i vagabondi.
Abbandonato dopo le soppressioni napoleoniche e profondamente danneggiato, il complesso è stato oggi affidato ad un gruppo di religiosi. Si occupano di dare nuova vita all’abbazia. Pietra su pietra, stanno rialzando ciò che l’incuria del tempo ha abbattuto. Hanno la barba lunga e un aspetto un po’ stralunato. Si chiamano, giustamente, “I ricostruttori”. Da queste macerie, bisognerà pur ripartire.”
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