Di Gustavo Adolfo Nobile Mattei.
Nuovo appuntamento con Rotolando verso Sud, la rubrica che ci conduce nei luoghi più caratteristici del nostro territorio. Stavolta il viaggio ci conduce tra Lioni e Quaglietta…
Ogni volta la solita storia. Appuntamento alle dieci e un quarto in piazza: ovviamente, lui non c’è. Dorme ancora. La combriccola, rassegnata, si sposta a casa sua, pregando che almeno abbia aperto un occhio. Ma niente. E mentre la mamma ci intrattiene e prepara il caffè, lui comincia un interminabile lavoro di toletta. Solita routine. La prossima volta ci daremo appuntamento alle nove… Ne approfittiamo per fare il punto della situazione: il salotto diventa il nostro piccolo quartier generale. È il momento di adoperare l’ultimo ritrovato della tecnologia: la mia nuova cartina della Campania, scala 1: 200000. Più che una mappa, un arazzo. Tutta aperta, non entra sul tavolo: per questo, siamo costretti ad appoggiarla devotamente sul pavimento. Qualcuno si chiederà perché ostinarsi con questi mezzi desueti. È il gusto della carta, che ci fa sentire pirati alla ricerca di un tesoro nascosto. È lo sguardo d’insieme, che ti permette di osservare cosa circonda la strada che stai per imboccare. È l’ostinato rifiuto a farsi comandare dalla voce metallica del tom tom. Il viaggio è la carta geografica.
Prima tappa, Lioni. Il sole picchia forte sulle lande dell’Alta Irpinia; sono i giorni del famigerato anticiclone Hannibal, che segue l’altrettanto famigerato ciclone Igor. Ma chi è che li mette, ’sti nomi? Mai che qualcuno scegliesse un nome normale, tipo Andrea o Giovanni. O magari Gustavo Adolfo! La piazza è un mezzo cantiere: tutto intorno una schiera di palazzetti moderni. Tra i paesi rasi al suolo nell’80, e completamente ricostruiti, forse questo è il più aggraziato. Non ci sono i palazzoni sovietici di Teora, né l’enigmatica moschea-cattedrale di Conza. Certo, il Santuario di San Rocco s’ispira allo stesso stile saudita. E anche qui si respira una strana atmosfera metafisica: case troppo squadrate per essere vive. Eppure, nel complesso, Lioni appare una cittadina animata: un campari ai tavolini del Bar Venezia è necessario prima di entrare nel pieno dell’escursione. Dev’essere stato tremendo, il terremoto. Pochi secondi di violenza, e cadono a terra secoli di Storia. Con le case, se ne va in frantumi la memoria. Con la memoria, l’identità. Poi scocca il momento del cemento armato, l’apogeo del mattone forato e l’orgia dell’infisso in alluminio anodizzato. Pietra, laterizio e legno diventano scorie di un passato da rinnegare. Si poteva far meglio, questa ricostruzione. Tra le macerie, salvare almeno un briciolo di bellezza. Non tutti sono come Lioni, che perlomeno si giova della sua vocazione commerciale. Troppi paesi sono diventati, tra gli anni ’80 e ’90, il fantasma di sé stessi.
Il cemento armato non ci piace. Ed è per questo che non ci fermeremo a Materdomini, dove la NASA ha installato un avveniristico centro spaziale dedicato a San Gerardo Maiella. Eppure, correndo lungo la Statale 691, ci accorgiamo che il paesaggio si è fatto bellissimo. Boschi infiniti, montagne maestose, rocce superbe. La strada costeggia il Sele, adagiandosi in una valle rigogliosa. Una piazzola, una macchina parcheggiata. “Che vendono? Pannocchie?”. Peccato fossero carabinieri, e che la patente l’avessi dimenticata a casa. La spiga la incarteremo nel foglio giallo della multa.
Quaglietta. Nome strano, che evoca prelibatezze avicole. “Tutti pensano a un uccello, ed in effetti anche nel nostro stemma è raffigurata una quaglia. Ma il nome del nostro paese deriva da Aqua electa, perché qui abbiamo ricche sorgenti, e buone”, ci spiega la guida, servizio civile presso la Pro loco. Ad occhio, potrebbe essere l’unico ragazzo di Quaglietta. Staziona sotto un albero in attesa che arrivi qualcuno. Siamo arrivati quasi all’una, ha il pranzo già a tavola ma è felice di accompagnarci nel borgo. “Quaglietta, fino al 1927 comune a sé. Adesso frazione di Calabritto. Siamo quattrocento, sulla carta. Un tempo eravamo un migliaio, poi il terremoto, il lavoro che non c’è… Qui si vive solo ad agosto, un mese all’anno… La gente che torna per la festa di San Rocco, il nostro patrono”. “E tu, come ti chiami?”, fa uno dei nostri. “Rocco”. I conti tornano.
Aggrappata su una rupe, la rocca di Quaglietta è circondata da case in pietra e stradine scavate nella pietra. Tutto maledettamente incantevole. Rocco ci porta fin dentro le case, recentemente restaurate con sapiente uso dei materiali edili. Eh sì, almeno oggi c’è più accortezza rispetto ai orribili Anni ’80. “Abbiamo ricevuto un finanziamento dalla Regione per il recupero dell’intero borgo. Lo scorso anno è venuto il presidente De Luca ad inaugurare 80 case… nascerà un albergo diffuso. Per ora, però, non abbiamo visto ancora nulla. Adesso tocca ad un privato che deve aprire la struttura”. Speriamo che questi vicoli tornino a vivere, a risuonare di voci. Rocco è pessimista, ma le potenzialità sono evidenti e bruciarle sarebbe uno spreco enorme. Ci inerpichiamo fin sopra il castello. Posizione strategica sulla valle, fu edificato dai Normanni e poi divenne proprietà della famiglia De Rossi, che ha lasciato il suo blasone sull’arco d’ingresso. Rocco ce lo illustra dettagliatamente, e poi ci porta negli ambienti di quella che un tempo era una fortezza inespugnabile, ed oggi è un romantico rudere a cielo aperto. Il vento tira forte, quassù. Immaginiamo i banchetti nelle sale da pranzo, i maniscalchi nelle scuderie, il sacerdote nella cappella palatina. Una bellissima principessa sulla loggia che si apre sulla valle. Oscena, però, l’inutile serie di svincoli che corrono proprio sotto la rocca. Un otto volante di asfalto che poteva, senz’altro, essere semplificato.