Alfredo Picariello – L’asporto non è per tutti. Alle 18 in punto, si abbassano quasi tutte le saracinesche dei bar di Avellino. In pochi puntano sui servizi alternativi che consentono, sulla scorta dell’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di poter restare aperti ancora qualche ora.
Chi lo fa, mette un tavolo all’ingresso, dove il cliente aspetta la consumazione da portare, però, a casa o in ufficio: vietato bere o mangiare qualcosa nei pressi del locale. Ci sono anche i “ritardatari”, quelli del caffè dell’ultimo minuto, ma i proprietari dei bar sono ligi al dovere: “Ci dispiace, abbiamo spento la macchinetta, ci passi a trovare domani”, si sentono rispondere gli avventori last minute. Dispiacuti, ma anche consapevoli che tutto quello che si sta mettendo in pratica, è per la tutela della salute.
Appena si spengono le luci dei bar, pian piano si spegne anche il capoluogo. Non è un lockdown, ma ci somiglia molto. Si “salva” una parte del Corso, quella che va verso piazza Libertà. La gente passeggia, causa una serata ancora abbastanza mite. Ci sono le luci dei negozi. Che, però, sembrano abbastanza vuoti. Anche quelli.
A parte il Corso, la maggior parte delle strade di Avellino è semideserta. Da viale Italia a via De Concilii, passando per corso Europa, piazza Libertà, via Luigi Amabile, piazza Macello, via Tuoro Cappuccini.
Un pugno nell’occhio il cinema Partenio chiuso in via Verdi. In giro, si vedono tante luci, quelle dei lampeggianti. Guardia di Finanza, polizia, carabinieri, vigili urbani. Controllano, con discrezione. Ma lo fanno. La città, però, rispetta le regole. La gente indossa le mascherine, i titolari dei bar, come detto, non sgarrano di una virgola. E’ la città civile che “lotta” contro il coronavirus. Consapevole, però, che molti concittadini, per l’appunto i commercianti, vedono la crisi dietro l’angolo e la vedono avvicinarsi sempre di più, con cali di fatturato ormai sempre più consistenti. Ma si prova a “resistere”. Sempre e comunque.