Il 27 gennaio il mondo commemora l’Olocausto, lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei e di altri quindici milioni di individui considerati indesiderati: prostitute, zingari, omosessuali, persone con disabilità fisiche e oppositori politici. Un aspetto poco noto è che questa pagina oscura ha coinvolto anche la nostra Irpinia. Quando Hitler impose le leggi razziali, il fascismo italiano si adeguò creando appositi campi di prigionia. Le autorità promossero due tipologie di internamento: quello libero, che costringeva stranieri e italiani a risiedere in determinati comuni pur avendo libertà di movimento all’interno di quel territorio comunale, e quello coatto, simile a una vera e propria prigione.
La provincia di Avellino ospitò entrambe le forme di internamento. Questa storia, poco conosciuta ma accuratamente documentata, è custodita in quindici faldoni nell’Archivio di Stato di Avellino. La direttrice Maria Amicarelli ci ha gentilmente mostrato la vasta documentazione, che include centinaia di fascicoli personali di internati di varie nazionalità: turchi, spagnoli, polacchi, tedeschi, lituani, lettoni, francesi, ungheresi, cecoslovacchi, rumeni, austriaci, apolidi e italiani. Questi documenti, ritrovati in deposito e donati in passato da uno storico locale, consentono di ricostruire in dettaglio gli aspetti dell’internamento e del funzionamento dei campi presenti in provincia di Avellino attraverso verbali di perquisizione, certificati medici, richieste di aiuti economici, telegrammi e informazioni riservate. Grazie a questa documentazione è possibile ricostruire e colmare le lacune di un periodo storico così difficile e turbolento.
I CAMPI PER INTERNATI LIBERI
I campi che ospitavano internati liberi furono istituiti in vari comuni: Aiello del Sabato, Andretta, Avella, Bagnoli Irpino, Bisaccia, Bonito, Calabritto, Calitri, CastelBaronia, Chiusano San Domenico, Forino, Frigento, Flumeri, Gesualdo, Marzano di Nola, Mercogliano, Greci, Grottaminarda, Lacedonia, Lauro, Mirabella Eclano, Montefusco, Montella, Montecalvo, Montemarano, Montemiletto, Nusco, Ospedaletto d’Alpinolo, Paternopoli, Quindici, Sant’Angelo dei Lombardi, San Martino Valle Caudina, Sirignano, Teora e Torella dei Lombardi.
I CAMPI DI CONCENTRAMENTO
Nel giugno 1940, il Ministero dell’Interno ordinò ai prefetti di arrestare e rinchiudere in carcere tutte le persone, italiane e straniere, considerate pericolose per l’ordine pubblico. L’8 giugno 1940, appena due giorni dopo l’ingresso dell’Italia in guerra, la circolare numero 422/12267 stabilì le disposizioni per i campi di concentramento e le località di confino. Quella circolare arrivò anche all’allora prefetto di Avellino Nicola Trifuoggi. Fu così che vennero aperti i tre campi di concentramento fascisti di Solofra, Monteforte Irpino e Ariano Irpino.
SOLOFRA
Il campo di concentramento di Solofra, prevalentemente femminile, ospitava circa 26 donne principalmente francesi e polacche, considerate prostitute o colpevoli di aver sposato antifascisti. Erano detenute in una residenza signorile di una ricca famiglia di conciatori, al numero 2 di via della Misericordia. Tra le internate, la più anziana era Manlaj Giovanna, una francese di 40 anni, mentre le più giovani erano Borstnar Marta e Yenco Maria, ex jugoslave, rispettivamente di 20 e 21 anni. Il campo rimase attivo fino all’autunno del 1943, quando fu abbandonato a causa di un grave bombardamento nel settembre di quell’anno e, successivamente, per l’arrivo delle forze alleate.
MONTEFORTE IRPINO
Il campo di concentramento di Monteforte Irpino fu allestito nell’ex orfanotrofio Loffredo (oggi sede del Municipio) e ospitò circa un centinaio di detenuti ritenuti politicamente pericolosi. Da qui il nome di Bastiglia del Sud. Dai documenti emerge la durezza della vita quotidiana dei reclusi: privati della libertà, vivevano con un minimo sostentamento equivalente a un solo pasto al giorno. Gli internati spesso scrivevano alla Questura di Avellino chiedendo cibo, vestiti e permessi per poter incontrare le loro famiglie.
ARIANO IRPINO
Documentato in pochissime foto, il campo di Ariano era quello che assomigliava di più ai lager tedeschi, con tanto di filo spinato intorno alle baracche a un solo piano. In tutto erano dieci le strutture più il villino di proprietà della famiglia Mazza in Contrada Martiri, utilizzato come ufficio e deposito per il materiale del campo. Quelle casette erano state costruite subito dopo il disastroso sisma che colpì l’Irpinia la notte tra il 22 e il 23 luglio 1930 e che provocò vittime e macerie (ad Ariano morirono 82 persone). I circa 130 internati provenivano principalmente dall’Europa orientale. Con l’arrivo delle forze alleate, il campo fu abbandonato e bruciato dai tedeschi in ritirata l’8 settembre del 1943.