Final8 – Riconferme e obiettivi del ‘muratore’ diventato ‘archistar’

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Avellino – Adolf Loos, tra i massimi pensatori contemporanei dell’arte, usava dire che “…l’architetto è un muratore che ha imparato il latino”. Fuori dalla logica dell’aforisma, questa espressione rimanda però alla duplice anima del costruttore, sempre teso tra il dato materiale e la riflessione istintiva. Così è il mezzo muratore Vincenzo Ercolino, capace di badare al sodo come pochi, in grado di istruire le maestranze e dialogare con i più esperti ‘capomastri’ per trarne il migliore risultato ma che, tuttavia, scompare di fronte alla perfetta esecuzione della costruzione.
Per due volte nel corso della serata di presentazione ufficiale delle Final Eight di pallacanestro, in programma ad Avellino fino a domenica, il patron della Scandone, rigorosamente senza cravatta, ha interrotto il suo lento discorrere, quasi disarmato e impaurito, di fronte alla platea e al fianco di nobili e potenti della Lega, società civile, autorità militari e politiche. Come a dire: “Ma che ho combinato?”.

IN AMORE VINCE CHI FUGGE? – Ai miracoli la famiglia Ercolino ci ha ormai abituato. E questo è un dato di fatto. Quando anni fa, un po’ per gioco un pò per curiosità, Ercolino padre e figlio presero in mano le sorti della prima società di pallacanestro irpina, si instaurò subito quel sentimento di odio-amore che, ad oggi, contraddistingue ancora il rapporto tra la Scandone e l’esterno. Decine le problematiche quotidiane, mai un passo indietro. Con la tifoseria biancoverde venne a scontrarsi dopo la riconferma in panchina del plenipotenziato Boniciolli (investito del doppio incarico di coach e gm) che iniziò la stagione dei miracoli con tre sconfitte di fila. Non la migliore delle presentazioni. Ma quella scommessa fu superata a pieni voti: la Scandone vinse la Coppa Italia e conquistò quell’Europa che non aveva ancora un tetto. E allora, un nuovo tuffo dentro una nuova scommessa impossibile e la ‘caverna’ che in cento giorni diventò un ‘palazzo reale’, capace di accogliere il gotha del basket europeo (Maccabi e Olympiakos solo per citarne alcuni) fino all’ultimo dei miracoli: le Final Eight di Coppa Italia.

Ne ha fatta di strada il mezzo muratore. Forse – anzi sicuramente – tra i meriti più grandi che si possono attribuire agli Ercolino, ampio risalto va dato al fatto di aver sempre onorato l’impegno, di aver tirato su una famiglia di appassionati, unita e compatta, di aver plasmato un gruppo che è diventato riferimento nel mondo della palla a spicchi del Bel Paese. Basta parlare di rivincita del Sud e della provincia, le Final Eight ad Avellino sono la riprova, la riconferma della bontà di un progetto che è destinato ancora a diventare grande. Ma una cosa, in vero, va detta: l’aria che si respira in questi giorni in città e sotto le decine di campanili che si stagliano nei cieli dei Comuni della provincia, quel pathos tutto irpino che circonda la carovana della Coppa Italia è di gran lunga più impetuoso che nelle passate edizioni metropolitane delle Final Eight. Ma sì, forse sarà meno professionale, più ignorante, ma al tempo stesso rappresenta un sentimento più vivo, più sanguigno, più di cuore.

Non resta che tuffarci, corpo e anima, nella competizione agonistica ed evitando accuratamente di impegolarci in improvvidi pronostici, auguriamo al patron Ercolino di ricevere in dono al più presto una nuova e bella cravatta. Da sfoggiare magari già domenica sera. A buon intenditor… (di Antonio Pirolo)

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