“Figlia di prostituta, ero una ‘menina de rua’ in Brasile tra fame e violenze: l’Irpinia mi ha adottata”

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“Ho trovato la felicità nel mio difficile percorso di vita grazie ad un meraviglioso gesto chiamato ‘adozione’. Al giorno d’oggi, molte coppie trovano difficoltà a concepire un figlio, andando incontro ad ulteriore stress e spesso rovinando, dopo anni, la stabilità di un amore. Perché, quindi, non prendere in considerazione il percorso dell’adozione di un bambino in cerca di una famiglia che possa amarlo, proteggerlo e dargli un futuro migliore? Lo so, non avrà gli stessi occhi, capelli e carnagione della coppia “adottiva”, ma avrà sicuramente tanto amore da dare. Infatti è grazie a questo gesto meraviglioso che oggi sono quella che sono e, soprattutto, che abbia potuto scegliere di continuare a vivere.”

Queste parole vengono da una 30enne brasiliana, M., residente ormai da molti anni in Irpinia. Non vuole che venga diffusa la propria identità, forse leggendo fino in fondo verrà espletato in maniera esaustiva il perché, in quanto a volte non basta un’esistenza intera per cancellare dolori, ricordi atroci e ferite insanabili, anche se adesso sta bene e la vita procede per il verso giusto.

INFANZIA“Sono una ragazza adottata da una coppia irpina –racconta M. – ma prima di arrivare a questo ho dovuto superare innumerevoli ostacoli. Sono nata in una delle tante favelas situate in Brasile. Eravamo 7 figli. Mia madre biologica, come la maggior parte delle ragazze, era costretta a vivere sulla soglia della povertà. Per sopravvivere svolgeva il mestiere più antico del mondo. Non ho ricordi della persona che ogni bimbo chiama ‘papà’. Ero una ‘menina de rua’, una bambina di nessuno che viveva per strada. Nei Paesi poveri è d’obbligo crescere in fretta per affrontare la vita. Non avevamo luce né cibo, vivevamo col nulla. Ricordo che l’unica nostra pietanza degna di un cinque stelle di quel posto era il riso bollito in acqua o latte e le canne da zucchero…oltre a questo, gli avanzi di cibo che la gente più fortunata gettava via nell’immondizia. Nostra madre, molto spesso, era costretta a portarci con sé.

Sembrava tutto così naturale, abbiamo conosciuto e visto in tenera età il mondo del sesso. Sono sicura che lei avrebbe voluto proteggerci, ma purtroppo non era nessuno nemmeno lei o forse non sapeva niente. Cominciai a subire insieme a mia sorella delle violenze fisiche e, soprattutto, psicologiche. Cercavamo di non farci vedere, di nasconderci a turno per evitare di finire entrambe nel tritatutto della prostituzione.
Poi un giorno, la donna che ebbe il coraggio di metterci al mondo, ci disse che ce ne saremmo andate e che avremmo vissuto una vita migliore. Ero entusiasta. Non smettevo di chiederle quando sarebbero venute quelle persone a prenderci. Non passò tanto tempo e vidi arrivare due persone distinte. Le fecero firmare dei documenti, ci caricarono in macchina e da quel momento non l’ho più rivista.”

L’ORFANOTROFIO“In quel viaggio – continua – ci chiedevamo quale sarebbe stata la nostra meta e cosa ne sarebbe stato di noi. Mi sentivo sola, abbandonata. Ci accolse una famiglia brasiliana, lui avvocato, lei casalinga. Stavo bene da loro, ma dopo un mese dovettero prendere la decisione di mandar via qualcuno, eravamo troppi da poter gestire. Toccò a me andar via. E’ stata dura affrontare l’ennesimo distacco. Mi portarono in un orfanatrofio e lì cominciò il mio incubo. Eravamo divisi per età, ma spesso, pur avendo solo undici anni, ero costretta a badare ai bambini in fasce. Ero l’ultima arrivata e gli ultimi arrivati non erano ben visti: dovevano superare molte prove prima di essere accettati. Queste prove consistevano nel dare il proprio cibo a quelli più grandi, riuscire a rubare del cibo o altro per farlo avere a loro e, purtroppo, nel fare sesso con uno più grande mentre tutti guardavano e ridevano. Denunciai il fatto ai responsabili, ma fu inutile.

Ero terrorizzata, ma non avevo altre chance. Continuarono le violenze e le torture; poi, finalmente, arrivò la coppia che avrei amato per tutta la vita. Lei mi regalò un vestitino ed una bambolina. Io non avevo nulla. Con delicatezza, mi vestì e mi prese per mano.
Mi portarono con loro in un albergo. Ogni giorno una assistente sociale veniva a fare il punto della situazione, i primi giorni furono difficili. Non facevo altro che pulire tutta la stanza ed il bagno. I miei ‘nuovi’ genitori non capivano e mi toglievano lo strofinaccio dalle mani. Raccontarono tutto ad un avvocato brasiliano, il quale mi chiese il perché lo facessi. Io gli risposi che ero abituata a farlo in collegio per evitare di essere picchiata. Lui mi spiegò che quell’incubo era finito e che potevo stare tranquilla.”

LA NUOVA FAMIGLIA“Dopo due mesi lasciammo il Brasile e raggiungemmo l’Irpinia. Mia madre adottiva non ci ha pensato due volte: dopo tanti tentavi falliti di procreare e stanca di essere giudicata e derisa dalle persone ignoranti, decise di prendere il primo aereo con l’intenzione di donare amore ad una creatura appena conosciuta. Con mio padre non ho avuto un bellissimo rapporto sin da subito, poi con gli anni è diventato l’uomo più importante della mia vita. Ora ho raggiunto la maturità, sono sposata ed ho due bellissimi figli. E’ stato difficile raccontare questa storia e far emergere i ricordi più oscuri, gli incubi di una vita. Spero di sfruttare al meglio l’opportunità che mi è stata data.”

ADOZIONI GAY – M. interviene sulla legge Cirinnà che si sta discutendo al Senato, dicendo la sua sul tema delle adozioni:

“Ci si chiede se introdurre o meno la legge che permette anche ad una coppia dello stesso sesso di adottare un bambino. Onestamente, quando ero all’orfanotrofio, a me non importava se la coppia fosse formata da un uomo ed una donna, da due uomini o da due donne. Io cercavo semplicemente amore e protezione. Io sono favorevole a qualsiasi tipo di adozione, a patto che i bambini e le famiglie vengano seguiti nel corso degli anni. Tuttavia non sono affatto d’accordo con la pratica dell’affitto dell’utero. Se una coppia gay desidera un bambino, ce ne sono migliaia nel mondo che chiedono di essere salvati”.

Pasquale Manganiello

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