“Fasci di luce” a Grottaminarda, intervista all’artista Pietra Barrasso

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La collezione “Fasci di Luce” di Pietra Barrasso, nata a Venticano ma da molti anni residente a Roma dopo esser vissuta fino al 1992 a Grottaminarda, sarà esposta fino al 31 agosto presso le sale del Caffè Letterario “Castello D’Aquino”, già diventato per molti un punto d’incontro quotidiano in cui si discute, si scherza e si mettono in circolo le idee. E proprio nelle sale del Castello tra libri, musica, arte, cibo e vino abbiamo incontrato la poliedrica artista, definita “maestro della luce”, che in queste settimane di agosto ha fatto capolino nella sua Irpinia per festeggiare i primi quarant’anni di professione con una personale nel paese che le ha dato i natali; un ritorno alle origini lontano dalle luci della capitale.

Come mai ha deciso di festeggiare qui un anniversario così importante?

Ho cominciato molto presto a dipingere. Il primo quadro l’ho realizzato proprio qui a Grottaminarda nel 1977, appena finita la scuola media. La tela rappresentava un’immagine sacra: san Michele. A Grottaminarda ho frequentato l’istituto d’arte. Qui a Grottaminarda ho aperto il mio primo studio, in un garage messomi a disposizione da uno zio trasferitosi in America. E anche il mio primo quadro l’ho venduto qui, per la somma di centomila lire, al sindaco di allora, Michele Lanza. Molte delle mie prime opere sono conservate in collezioni private ma alcune sono esposte nel Municipio e nel Castello di Grottaminarda: rappresentano la Fratta, la parte antica del borgo. Ho anche realizzato molti pannelli per le sale consiliari della Campania tra le quali quella di Sturno, Gesualdo, Mirabella, Lacedonia, Contrada, Avellino, ecc.

Poi ha deciso di andare via…

Si, mi sono iscritta all’accademia delle Belle Arti, sezione pittura con De Stefano. E a Roma si sono ampliati gli orizzonti e sono cominciate le grandi mostre con esposizioni sia in Italia che all’estero. È stato fondamentale il mio trasferimento a Roma per avere un confronto con i grandi artisti. Si decide a malincuore di andare via ma lo si fa per una crescita umana e professionale.

Cosa conserva delle sue origini?

Conservo l’amore per la terra, per i sentimenti puri e veri. Ho conservato anche quella forza che io avevo dentro trent’anni fa quando son partita. La stessa forza che mi spinge a portare alto, in ogni luogo dove vado, il nome dell’Irpinia.

Può descrivere la sua arte in tre parole?

Ne basterebbe una: luce. La mia identità è nella luce. La luce è immateriale come l’aria. Io cerco di afferrarla, di bloccarla nei miei quadri. Il giallo come colore, calore, sorgente è presente in tutte le opere dell’ultima collezione, quella in mostra qui al castello d’Aquino. La luce attraversa le mie opere in perpendicolare, quasi le abbraccia, in simbiosi tra il divino e il terreno. Unifica quello che è universale. L’ombra è in agguato ma la luce predomina, nella vita come nelle opere. Sono alla ricerca continua di rappresentare la luce in tutte le sue sfaccettature, in una continuità tra la vita e la morte.

A cosa pensa quando dipinge?

Io mi immedesimo nell’arte, entro nel cuore della materia, sento l’odore della pittura. Ogni mio quadro è una visione aerea di macchie di colore, con varie gradazioni di giallo che catturano lo sguardo. La luce irradia la natura circostante e dai colori prende forma. Proietto la mia anima in ogni opera.

Come nasce un suo dipinto e cosa si cela dietro la sua opera?

Utilizzo la pittura come nutella, spalmandola sulla tela. I critici parlano delle mie opere utilizzando il termine: pitto-scultura. Tutte le diciannove opere esposte qui al Caffè Letterario di Grottaminarda sono rappresentazioni in spatolato materico che coniugano livello figurativo e significati astratti. Quando dipingo provo a bloccare l’attimo di luce, di natura, per imprimerlo nella tela. C’è congiunzione e continuità tra luce e ombre. La luce dall’alto cola nel quadro e blocca l’immagine in perpendicolare.

In 40 anni di carriera artistica avrà ricevuto molti premi. Qual è quello di cui è più orgogliosa?

Nella 54esima biennale di Venezia la commissione presieduta da Sgarbi ha selezionato la mia opera “Guardando il mare” per la tavolozza cromatica e la forza espressiva della pennellata. Mi ha fatto molto piacere notare come il noto critico d’arte sia riuscito a cogliere quello che io voglio rappresentare nell’opera: l’unione tra il divino e il terreno che annulla il buio, annulla il nero, annulla il male. La mia opera è luce anche nelle ombre, anche nella notte.

Di un artista si dice che sia estraneo al mondo e agli eventi che animano i contemporanei. E così anche nel suo caso?

No, per niente. Ho realizzato sei opere sul Mediterraneo che sono state anche premiate con la medaglia del presidente del Senato della Repubblica. In queste opere ho riportato su tela quella che è la tragedia del Mediterraneo. Il mare in tempesta, le coste insanguinate e le anime dei migranti. Ho rappresentato anche papa Francesco che si incontra con Sant’Antioco, il patrono della Sardegna, il santo di colore venuto dal mare. È un messaggio che ho voluto lanciare all’umanità affinché ricordi che è nella fratellanza e unione delle razze che si genera l’amore. E l’arte è amore e bellezza. È, appunto, luce che annienta il buio inteso come male.