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Nuova faida fra clan in Irpinia? Cantelmo lo aveva predetto

di AnFan 

E’ bastato quel riferimento, quel manichino da donna come bersaglio, per riaccendere nel Vallo Lauro il timore che la sanguinosa faida di Quindici potesse ricominciare. Nell’inchiesta che ha portato all’arresto di cinque esponenti del clan Graziano, l’ipotesi di un possibile attentato contro Rosalba Fusco e Salvatore Cava, moglie e figlio del boss Biagio Cava, ha riportato alla mente quel drammatico 26 maggio di 17 anni fa. La strage delle donne. Quando un commando dei Graziano ha ucciso a Lauro, mentre era in corso lo spoglio delle amministrative, tre donne: Clarissa e Michelina Cava, figlia e sorella del boss, e Maria Scibelli, sua cognata. Rimase gravemente ferita l’altra figlia di Biagino, Felicetta, che da quel giorno è costretta sulla sedia a rotelle.

Questa volta – morto Biagio Cava -, i Graziano avrebbero mirato alla moglie e al figlio maschio. L’erede designato. Il Procuratore di Avellino, Rosario Cantelmo, aveva già previsto questa situazione incandescenti. Mesi fa. Il pm, con una lunga esperienza alle spalle di lotta alla camorra a Napoli, aveva ben chiaro il quadro della situazione. E aveva individuato, nelle scarcerazioni eccellenti di esponenti di spicco del clan, la miccia che poteva far deflagrare una nuova strage.

Una strage senza fine

Una vendetta lunga trent’anni. O quasi. Da quando – era il 1991 – in un garage di Scisciano, un commando massacrò a colpi di mitra Eugenio e Vincenzo Graziano e Gaetano Santaniello. Tra i killer – secondo gli inquirenti – ci sarebbe stato anche Biagio Cava. Quella strage ha dato il fuoco a una faida che era già iniziata anni prima. Riversato sulle strade del Vallo di Lauro sangue e piombo. E decine di morti. Tra i Cava come tra i Graziano.

Dopo la strage delle donne, l’odio tribale che per decenni ha diviso le due famiglie, alimentato pure da un antagonismo criminale, sembrava sospeso. Anche per gli arresti che fecero seguito a quel tragico pomeriggio di morte.

C’erano stati altri agguati. Altri delitti. Ma la vendetta dei Cava non è mai arrivata. Per due motivi: gli esecutori di quell’eccidio erano stati tutti arrestati. E gli stessi vertici del clan Cava in cella.

Cantelmo: scarcerazioni eccellenti

In questi anni, con la scomparsa di tanti protagonisti di quella stagione di odio, le possibilità che riprendesse a scorrere il sangue sembrava essere via via sempre più ridotta. Ma evidentemente era solo un’impressione. Gli osservatori più attenti hanno sempre ritenuto che quella guerra potesse riesplodere. Era solo questione di tempo.

In primavera proprio lo stesso procuratore della Repubblica, Rosario Cantelmo, in un intervento pubblico aveva lanciato l’allarme: “Tra qualche mese saranno scarcerati esponenti di primo piano dei due clan, la faida potrebbe ricominciare”.

E tra le scarcerazioni eccellenti, anche quella di Salvatore Cava, il figlio del boss, che secondo gli investigatori ricopre un ruolo apicale all’interno della famiglia criminale.

Faida, ma non solo. Perché l’altra questione è il controllo del territorio. Una questione vitale per clan radicati come quelli di Quindici. In questi anni i componenti dei Graziano sono riusciti a riconquistare il predominio. Ma la scarcerazione di Salvatore Cava ha rimesso tutto in discussione. Eliminando lui e sua madre, evidentemente, i Graziano speravano di chiudere per sempre la partita. Non è andata così. E il fuoco dell’odio rischia di incendiare di nuovo questo pezzo di terra al confine tra le province di Avellino e Napoli.

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