Estate, un mare di plastica: Campania sempre più maglia nera

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Renato Spiniello – La storia è più o meno la stessa, e si ripete all’infinito ogni estate: acqua cristallina, si vede il fondale, poi cambia la corrente e appaiono le meduse – anzi no -, un sacchetto di plastica, un sandalo rotto e una lattina di qualche bevanda frizzante. Capita anche nelle spiagge più pulite di trovare i cosiddetti “rifiuti galleggianti”, specialmente nella zona di passaggio ed attracco di barche e yacht.

Pensare che poi tutti questi prodotti “umani” vengono trasportati dalle maree e dai venti, finendo per inquinare chissà quale altro lido. Uno studio di Science afferma che tra il 4,8 e il 12,7 milioni di tonnellate di plastica finisce negli oceani ogni anno: 8 milioni di tonnellate nell’ipotesi media (lo studio ha preso a riferimento l’anno 2010, considerando i 275 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica prodotti entro 50 chilometri dalle coste dei 192 paesi affacciati sul mare).

Un pericolo immane per i nostri mari.

La plastica è infatti pericolo mortale per la vita marina, destinata a restare in mare per secoli in quanto si frantuma ma non si degrada. Questi pezzetti poi, una volta digeriti da pesci e molluschi, entrano anche nella catena alimentare con effetti letali per la fauna marina.

Goletta Verde di Legambiente ha monitorato che il 95% dei rifiuti in mare sono costituiti da plastica, soprattutto le famose “meduse-sacchetto”. E in questo mare magnum di spazzatura, il più denso di rifiuti galleggianti è il Tirreno centrale con 51 rifiuti/kmq, seguito dal mar Adriatico meridionale con 34 e dallo Ionio con 33.

Le zone più dense di sporcizia– come si legge in un comunicato di Legambiente – sono risultate quelle antistanti la costa tra Mondragone (Ce) ed Acciaroli (Sa) dove sono stati contati 75 rifiuti/Kmq. In generale, è emerso che il 54% dei rifiuti ha una presunta origine urbana e domestica, risultato di cattiva gestione e dell’abbandono consapevole dei singoli. Il 32% è, invece, derivante da attività produttive e industriali, come ad esempio dal settore pesca, i cui rifiuti costituiscono il 12% del totale di tutti i detriti monitorati.

Soluzioni?

Ovviamente occorrono azioni globali: bisogna istruire i bagnanti ad usare molta meno plastica e, comunque, a raccoglierla, a riciclarla e a smaltirla in maniera adeguata. L’inquinamento dei mari non conosce frontiere: basta a poco limitarsi alla nostra baietta con l’acqua cristallina. Ovunque essa sia, rischieremo sempre di trovare un po’ (o tanta) plastica alla deriva: almeno finché non riusciremo a evitare che questo pericoloso materiale finisca in mare.

*foto dal web.

Renato Spiniello

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