A distanza di dieci anni dallo scoppio della crisi del 2008, un fenomeno globale che solamente di recente pare aver conosciuto una fase di controtendenza (generalizzata, seppur faticosa), ancora ci si interroga sulle cause della più grossa recessione dal 1929. Tra le ipotesi, tutte valide e tutte probabilmente vere, che si concentrano su elementi macroeconomici, quali i fenomeni speculativi sui mutui, l’eccesso di investimenti ad alto rischio, l’impossibilità (è il caso dell’Eurozona) di aggiustamenti nel cambio per adottare politiche di contrasto, ha trovato spazio anche il fattore relativo al conflitto di interessi, che si genera al livello dell’intermediazione tra l’investitore e l’investimento, e a cui la disciplina giuridica pare non aver prestato la dovuta attenzione.
I promotori finanziari, nell’occhio del ciclone specie dopo il 2008, sono figure chiave nel campo degli investimenti. È praticamente impossibile, a meno di non essere avvezzi al mondo della finanza, decidere verso quale settore indirizzare il proprio denaro senza l’ausilio di un intermediario. La maggior parte dei risparmiatori non è in grado di stabilire un giusto rapporto tra rischio e rendimento, e l’intervento del promotore si rende pressoché inevitabile. Con tutti i pericoli a cui si va incontro.
Il Parlamento Europeo ha provato a dare una risposta a questo problema intervenendo con una precisa direttiva. Si tratta della Direttiva MiFid(Markets in Financial Instruments Directive), che in realtà risale al 2004 ma che solo qualche anno più tardi ha conosciuto un recepimento negli ordinamenti statali. L’obiettivo della Direttiva è quello di introdurre la figura del mediatore indipendente, il quale garantisca una maggiore efficienza dei mercati finanziari, una migliore gestione del conflitto di interessi e una tutela più ampia, tenendo conto dei differenziali in termini di informazioni e conoscenze, nei confronti dei risparmiatori. Questi ultimi sono infatti suddivisi in tre categorie, cliente al dettaglio, cliente professionale (enti pubblici, banche centrali, società oltre un certo fatturato) e controparte qualificata (imprese di investimento, enti creditizi, fondi pensioni ecc); a seconda del livello di classificazione, gli intermediari devono fornire un certo numero di dati, relativi alla descrizione degli strumenti finanziari, ai rischi, ad eventuali conflitti di interesse e quant’altro, allo scopo di consentire una scelta più consapevole in materia di investimenti.
E l’Italia? Un po’ tardivamente si è mossa anche la nostra nazione, che ad Aprile di quest’anno ha visto la nascita del portale “Quello che conta”, cui collaborano e partecipano gli enti centrali dello Stato, tra cui tre ministeri, ossia il Ministero di Economia e Finanza, il Ministero dell’Istruzione ed il Ministero dello sviluppo economico. Il portale, ancora in versione Beta, quindi aperto ad eventuali sviluppi, mira ad un progetto ambizioso, far acquisire a tutti i cittadini competenze e conoscenze nel settore finanziario, affinché in piena autonomia ognuno possa avere una gestione efficiente, efficace e trasparente del proprio denaro.
La grande battaglia contro il conflitto di interessi si prospetta lunga, ma la strada intrapresa sembra essere quella giusta.