D’Onofrio all’AIA Avellino: “Magistrato e arbitro, entrambi tutori delle regole”

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La sezione AIA di Avellino ha ospitato il dott. Vincenzo D’Onofrio, Procuratore Aggiunto della Repubblica nella città irpina, in una lezione sulla figura dei “Tutori delle regole”. Il punto fondamentale di ciò che fa un magistrato nell’espletamento delle sue funzioni, garantire l’osservanza delle leggi del nostro ordinamento, in posizione di terzietà, proprio come un arbitro; perseguire i comportamenti contrari alle norme per poter garantire ai più una vita civile.

Magistrato e arbitro: due figure sicuramente di diverse nature, ma molto simili: è proprio con la figura dell’arbitro che il magistrato, impegnato da più di venti anni nella lotta contro le mafie, quando va nelle scuole, fa avvicinare al diritto, e soprattutto al proprio ruolo, i bambini. Un chiaro esempio: il calcio senza regole come sarebbe? Sicuramente senza possibilità di spettacolo: calci, reti di mano: lo spettatore non si divertirebbe affatto a vedere tale confusione in campo, senza un arbitro che diriga e faccia osservare le regole. Lo stesso vale per la società: una società senza regole come potrebbe essere? Sicuramente negativa, ognuno potrebbe fare quel che gli pare, danneggiando l’altro, danneggiando la comunità: ed anche qui parliamo di una cosa impensabile, perché sarebbe contraria dapprima agli interessi personali dei consociati, per poi essere contraria agli interessi generali della comunità. Pertanto il tutore delle regole ha un ruolo di assoluta importanza: far sì che la vita (e il calcio) possa procedere su binari corretti, punendo le condotte contrarie, così da garantire, da una posizione di terzietà, il corretto è pieno sviluppo dei propri interessi innanzitutto, e poi quelli della comunità.

Il tutore delle regole si trova in una posizione scomoda: deve “farsi i fatti degli altri!” Esatto: un arbitro non gioca, un magistrato non si occupa di fatti propri: osservano, valutano, puniscono eventualmente. Ed è proprio questa la difficoltà di questo ruolo: il non essere protagonisti, ma far sì che i protagonisti veri (i calciatori, i consociati) se non osservano le regole vengano sanzionati in base a quanto stabilito dall’ordinamento. È proprio qui c’è la difficoltà, di natura culturale che nel nostro paese da forza alle associazioni mafiose: l’incapacità  delle persone di “farsi gli affari degli altri”. In poche parole: il silenzio. Si gioca sul silenzio, sull’omertà, sul “non aver visto nulla”, dando modo a chi agisce di farlo con violenza, e con la possibilità di realizzare i soli suoi interessi, e non quelli della comunità. Il punto nodale è questo, ed è proprio contrario all’arbitro, che vede, che decide e punisce i trasgressori delle regole.

Conclude l’intervento facendo un invito ai giovani,  quello di ambire alla legalità,  alla strada giusta, e di lottare per essa, al contrario dei più anziani, che sembrano essere i primi ad eludere le leggi.

L’intervento, apprezzatissimo dai tanti presenti, è stato seguito da numerose domande poste al magistrato, ed hanno riguardato temi sempre inerenti alla dicotomia arbitro-magistrato, pienamente raffigurante l’immagine del tutore delle regole.

Soddisfatto il presidente Zaccaria: “é stata una fortuna avere tra noi un personaggio di questo calibro: i nostri ragazzi, anche in adolescenza ormai, si trovano a dirigere le gare e a far rispettare le regole. Questa lezione sicuramente darà loro ancora più consapevolezza del loro ruolo, e della precoce maturità che li contraddistingue dai loro coetanei”

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