AVELLINO- Donato Ragosa, di Montoro, 33 anni, lavora come infermiere presso il Moscati di Avellino, le sue passioni sono podismo ( prima anche a livello amatoriale ) e la ricerca storica. Qualche giorno fa, in occasione della Giornata della Memoria, il prefetto Rossana Riflesso lo ha ringraziato pubblicamente per il lavoro che da anni porta avanti raccogliendo le informazioni su militari o civili che durante la guerra hanno vissuto la terribile esperienza della deportazione. Molti sopravvivendo, tanti tornando in Patria senza vita e alcuni di cui si sono per sempre perse le tracce.
Da anni ormai si occupa di scavare nella storia per cercare le testimonianze di irpini che hanno vissuto la deportazione o l’internamento: cos’è per lei? Solo una passione o altro?
“Da molti anni, mi dedico allo studio e alla raccolta delle storie di militari che, durante i conflitti mondiali, furono imprigionati nei campi di concentramento. Sebbene questi eventi siano spesso trattati da una prospettiva storica più ampia, è fondamentale non dimenticare le esperienze individuali di coloro che vissero l’internamento. Ogni storia, seppur apparentemente silenziosa, porta con sé testimonianze di sofferenza, resistenza e speranza. Questo lavoro nasce dalla volontà di dare voce a quei militari, spesso trascurati dalla memoria collettiva, che affrontarono condizioni disumane e lottarono non solo per la propria sopravvivenza, ma anche per preservare la dignità umana in mezzo alla tragedia. Il mio obiettivo è contribuire a mantenere viva la memoria di questi uomini, affinché le generazioni future non dimentichino mai il prezzo della guerra e l’importanza della pace”.
Quando è nata questa “passione” che ora e’ diventata una sorta di “missione”?
“Questa passione è nata da una ricerca familiare, riguardo un zio di mio nonno, che perse la vita durante la Grande Guerra”.
Come la concilia con il suo lavoro?
“Conciliando la passione per la ricerca con il lavoro quotidiano può sembrare una sfida, ma è assolutamente possibile trovare un equilibrio. Il trucco sta nell organizzarsi e, allo stesso tempo mantenere viva la passione senza che diventi una forma di stress. L’importante che la passione per la ricerca rimanga una motivazione positiva”.
Quante sono le storie recuperate alla memoria collettiva grazie all’impegno che stai portando avanti?
“Le storie portate alla luce sono tante ed ognuna ha il proprio significato”.
Nelle comunità c’è voglia di conoscere?
Non hai mai pensato di portare nelle scuole questa esperienza?
“Condividere le storie dei militari internati è un modo per poter trasmettere la memoria storica sensibilizzando le nuove generazioni, così da preservare il valore della resistenza. Per quanto riguarda le scuole ci sto pensando di farlo con qualche associazione locale come quella dei combattenti e reduci”.
C’è qualche storia in particolare che ti ha colpito di più?
“Ogni storia è importante come già detto, ma quella che mi ha colpito di più è quella dei fratelli Carratù entrambi morti in Russia”.
Ce la vuole sintetizzare?
“La storia dei fratelli Carratù. Il soldato Carratù Donato di Giuseppe effettivo al 249°Ospedale da campo dell’8°armata, prigioniero delle forze Armate Sovietiche ed internato nel campo n°58 di Tiomnikov dove è deceduto il 31 marzo 1943. Purtroppo tutti i caduti italiani sepolti in quella località, sono stati tumulati in fosse comuni.Tutti i prigionieri italiani deceduti in questa località sono ricordati con un monumento installato a Moloschnitsa. Il soldato Carratù Raffaele di Giuseppe classe 1921 effettivo al 162°Ospedale da campo della divisione “Vicenza”. Purtroppo ad oggi il soldato risulta disperso durante la battaglia di Postojali (Russia).Non oso immaginare il dolore immenso dei genitori, che durante la seconda guerra mondiale hanno perso due giovani figli, senza avere nemmeno un corpo da piangere. Il padre Giuseppe Carratù (decorato della grande guerra), che porta lo stendardo dell’associazione Combattenti e Reduci nell’anno 1968. Il padre dei soldati, Carratù Giuseppe è morto a 99 anni, ed ha vissuto sempre con la speranza di rivedere i figli tornare dalla Russia”.