Decreto Genova, l’agronomo irpino De Vito scrive al Parlamento: “Serve chiarezza”

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Ha destato una certa sorpresa l’inserimento dell’art. 41 del decreto-legge nº 109 (cosiddetto “Decreto Genova”), che accoglie un provvedimento che invece è destinato a normare tutt’altro. Il provvedimento si è reso necessario al fine di emanare con urgenza alcune misure necessarie alla popolazione colpita dall’evento del crollo del viadotto Polcevera dell’autostrada A10 (noto come ponte Morandi), avvenuto la mattina del 14 agosto 2018.

Serve però un serio approfondimento sotto il profilo giuridico-giudiziario, anche per comprendere le motivazioni che hanno portato a questo anomalo inserimento di una norma relativa ai limiti di contaminazione per i fanghi di depurazione in agricoltura.

Ai sensi della Direttiva 86/278/CEE sulla protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, recepita in Italia con il D.L.vo 27 gennaio 1992 n. 99, non sono direttamente previste limitazioni circa le tipologie dei fanghi ammessi al trattamento o riguardo alle soglie di concentrazione di particolari sostanze inquinanti.

Non ci si può non sorprendere di come sia potuto accadere che sentenze con un certo grado di rilievo abbiano potuto affermare, in alcuni casi, che i limiti da rispettare per lo spandimento sono solo quelli del D.L.vo 99/1992 (norma speciale) e, mal che vada, quelli di derivazione regionale. In sostanza, le due normative, quella speciale (d.lgs 99/92) e quella generale (d.lgs 152/06, per cui l’attività di trattamento dei rifiuti deve avvenire senza pericolo per la salute
dell’uomo e dell’ambiente), devono essere conciliate.

Pertanto, come afferma la giurisprudenza più recente, si segnalano in questa sede, la pronuncia della Corte di Cassazione, sez, III Penale, n. 7241 del 14 febbraio 2014 (secondo la quale la responsabilità per la corretta esecuzione delle operazioni di smaltimento dei fanghi mediante spandimento sul terreno grava sul soggetto giuridico titolare dell’autorizzazione) e anche quella successiva del TAR Lombardia, sez. III, n. 195 del 29 gennaio 2016 che afferma come lo Stato abbia “potestà esclusiva di individuare i criteri generali relativi alle operazioni di recupero di una determinata tipologia di rifiuto e i limiti di accettabilità di alcune sostanze contenute nei rifiuti in relazione al loro particolare utilizzo” e che “attualmente non si rinviene nella normativa statale la presenza di un criterio che consenta alle Regioni di introdurre limiti ai rifiuti trattabili ai fini del loro riutilizzo in un determinato settore ovvero alla concentrazione di certe sostanze nei rifiuti stessi”.

Per quanto concerne l’utilizzo agronomico, inoltre, quest’ultimo presuppone che i fanghi siano ricondotti al rispetto dei limiti previsti per le matrici ambientali a cui dovranno essere assimilati, salvo siano espressamente previsti, esclusivamente in forza di legge dello Stato, parametri diversi, (decreto n. 99 del 1992) relativi allo spandimento dei fanghi.

Si ricorda che l’art. 2 del D.L.vo 99/92 nel definire che cosa si debba intendere per “fanghi” precisa proprio che si tratta dei “residui derivanti dai processi di depurazione: 1) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili; 2) delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi; 3) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi”, con ciò ammettendo esplicitamente la presenza di reflui industriali.

La sensazione è che si continueranno ad utilizzare fanghi reflui di depurazione contenenti idrocarburi (Direttiva 86/278/Cee) e che la regolamentazione dei fanghi di depurazione non sia dettata da un apparato normativo autonomo ma che il regime giuridico dal quale è tratta la completa disciplina in materia, debba essere inquadrato dalla normativa generale sui rifiuti e dall’applicazione del testo unico ambientale, per le parti non espressamente disciplinate dal D.lgs. n. 99 del 1992.

E’ da chiedersi se si possa negare che la disciplina dello spandimento dei fanghi sia da ricondurre alla disciplina dei rifiuti e se quest’ultima sia, a sua volta, da collocare nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. In questo resta riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, mentre resta ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi collegati in modo adeguato con quelli propriamente ambientali.

Insomma, nel caso dei fanghi da depurazione, la situazione è talmente ambigua che sfugge il senso dell’articolo 41 del Decreto Genova pubblicato in Gazzetta Ufficiale, (di seguito riportato):

1. Al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, continuano a valere, ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto, fatta eccezione per gli idrocarburi (C10- C40), per i quali il limite è pari a 1.000 (mg/kg tal quale).

Ai fini della presente disposizione, per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008, come specificato nel parere dell’Istituto superiore di sanità protocollo n. 36565 del 5 luglio 2006, e successive modificazioni e integrazioni.

E’ auspicabile che si possa generare una discussione approfondita su un tema importante per la salute dei cittadini nelle sedi istituzionali a ciò deputate, come la Commissione Ambiente, che punti ad utilizzare parametri concreti di identificazione dei composti di rilevante ecotossicità ed ulteriori approfondimenti sulle reali concentrazioni di idrocarburi in suoli per i quali non risulta ancora chiara la relazione tra il livello di idrocarburi e la relativa fonte di inquinamento. E’ da augurarsi che sia il ministro dell’Ambiente, previa valutazione del rischio, a determinare le modalità e le caratteristiche dei fanghi di depurazione utilizzabili in agricoltura.

Natalia De Vito, agronomo