Come note musicali gli scatti di Salvatore Gebbia

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Foto di Salvatore Gebbia
Foto di Salvatore Gebbia

Musicista, docente, compositore, Salvatore Gebbia ama cercare l’ispirazione nei suoi lunghi viaggi che immortala in scatti affascinanti e pieni di emozione.

Guardando le immagini di viaggio di Salvatore Gebbia non può che venire in mente Bruce Chatwin – lo scrittore britannico autore di affascinanti libri di viaggio come “In Patagonia” e tanti altri – perché il musicista-fotografo avellinese ne sembra mutuare lo spirito. “Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma” scriveva infatti Chatwin in “Anatomia dell’irrequietezza” e Gebbia, avvezzo per professione a dispiegare le architetture del pensiero sulla carta da musica o a far vibrare le emozioni attraverso il suono del suo pianoforte, sembra trovare nel viaggio, nei paesaggi e nei volti che ritrae l’indispensabile contrappeso terrestre, il sentire il ritmo della vita come e dove concretamente accade, il ricercare frammenti ancestrali e le loro tracce sonore odierne.

Salvatore Gebbia
Salvatore Gebbia

Si perché così lo si immagina un attimo prima dello scatto, camminare in luoghi remoti e lontani dalla frenesia consumistica occidentale seguendo il ritmo invisibile dei suono d’ambiente, osservare silenzioso ogni dettaglio e poi, trovato il momento perfetto, fermare il flusso del tempo nel clic dello scatto.

Non sono infatti immagini “casuali” o “fortunate”, né possono esserlo per un artista abituato alla minuziosa pianificazione di ogni dettaglio, alla ricerca, prova dopo prova, della massima efficacia del suono; forse però nei viaggi Gebbia si fa invadere dal mondo, ne ascolta le storie e le annota nei suoi scatti.

Diplomato in pianoforte al Conservatorio Cimarosa di Avellino, Gebbia dal 1992 affianca l’attività concertistica e compositiva alla Direzione dell’Accademia Kandinsky di Avellino di cui è fondatore e insegnante di pianoforte; sin dal 1992 viaggia alla ricerca dei suoni del mondo, dalle musiche popolari al minimalismo, e dal 1997 sviluppa un particolare amore per l’Argentina e il tango che lo porta alla produzione dello spettacolo “Tra Borges e Piazzolla” con Alessandro Haber e il Quartetto del Barrio e poi ad altre produzioni con Michele Placido, Rocco Papaleo e altri. Al suo attivo anche gli album “Lifebound”  e “Il tornare”distribuiti in tutto il mondo; porta poi in tournée lo spettacolo “Tango d’Amore e di coltelli” nei maggiori teatri di tradizione e sta lavorando al suo terzo lavoro discografico.

Salvatore Gebbia, com’è nata la passione per la fotografia? 

“La passione per la fotografia nasce circa 15 anni fa come esigenza di sperimentare un linguaggio differente e complementare alla musica, è una passione strettamente legata al “viaggiare”, che è la cosa che amo di più in assoluto. Incontrare altra gente, altri volti, visitare luoghi remoti per poi raccontare la loro storia in maniera semplice, ma immediata come solo la fotografia riesce a fare, Naturalmente la mia professione resta quella di musicista e compositore ma i viaggi e la fotografia sono un grande serbatoio di idee e ispirazione”.

Quali sono i suoi maestri o le sue fonti d’ispirazione? 

Foto di Salvatore Gebbia
Foto di Salvatore Gebbia

“Sono ispirato dai maestri della pittura oltre che dai fotografi. Amo la luce e l’oscurità dei dipinti di Vermeer, Rembrandt, Caravaggio. Andrej Dragan per la ritrattistica è la mia maggiore fonte di ispirazione. Franco Fontana per i suoi cromatismi e l’uso aggressivo del colore nella paesaggistica e James Nachtwey che è più vicino al mio mondo fotografico”.

Quali sono le tecniche che predilige nella realizzazione dell’immagine? 

“Scatto quasi sempre per istinto, nella fotografia da reportage spesso non hai il tempo di programmare lo scatto, occorre tuttavia una capacità di comporre la scena conoscendo la tecnica. ma l’occhio resta fondamentale rispetto ad una buona macchina… Certo nel ritratto è possibile a volte pensare e scegliere l’angolazione giusta per inquadrare”. 

Foto di Salvatore Gebbia
Foto di Salvatore Gebbia

Paesaggio, reportage, ritratto, quali sono le diverse emozioni che le suscitano? 

“Per qualunque fotografo il piacere di fotografare è anche un piacere fisico di essere in quel luogo: osservare le cose con la macchina fotografica ti mette in uno stato d’animo di curiosità, di disponibilità e di interesse verso quei luoghi e quelle persone. Ho avuto la fortuna di visitare terre insolite e di bellezza struggente, come la Mongolia, la Terra del Fuoco, le Ande, l’Etiopia, l’Iran, il Borneo, l’India etc., vivere accanto alla gente, entrare con discrezione nelle loro vite, raccontarsi. Soltanto così la fotografia può porre domande piuttosto che dare risposte , emozionarmi ed emozionare. Fermarsi e comprendere, prima di premere il pulsante della macchina fotografica”.

Un episodio divertente e uno commovente dal suo album dei ricordi fotografici.

“Ce ne sono tanti, forse aver improvvisato una partita di calcio con i ragazzini nella township di  Soweto davanti alla casa di Nelson Mandela in Sudafrica, con tanto di pallonate nei vetri delle finestre! Commovente? Il poco tempo passato nei dispensari di Madre Teresa a Calcutta ma sufficiente  a rimodulare alcune mie abitudini  e comportamenti quotidiani, i piccoli e grandi atti di amore degli “illuminati “ , i volontari che rendono meno dolorosa l’esistenza umana, ecco là ho scelto di non scattare foto”.

Foto di Salvatore Gebbia
Foto di Salvatore Gebbia

Quali sono le mostre o le pubblicazioni più importanti cui ha partecipato?

“L’allestimento del progetto “This Bitter Earth” pensato per l’esposizione al Teatro Carlo Gesualdo è la mostra di grandi stampe più importante. un percorso in cui le fotografie sono state accostate  per affinità di soggetto o di emozione, scattate in luoghi lontanissimi fra loro, in periodi diversi; immagini che raccontavano la precarietà dell’esistenza restituendoci il senso e la profondità della vicenda umana.. Il riconoscimento del National Geographic  per alcuni miei scatti nel 2010 ha permesso  la distribuzione degli stessi  anche all’estero in una raccolta intitolata “Faces of the World. Altri scatti sono presenti nelle gallerie di 1x.com, sito svedese di enorme rilevanza mondiale che raccoglie e seleziona il meglio della fotografia internazionale. Rappresento la fotografia al Padiglione Irpinia dell’Expo con un videoclip di 40 scatti in art gallery”.

Oggi la fotografia è ormai completamente digitale, i tempi romantici dell’attesa in camera oscura sono quasi archeologia, ci può essere lo stesso calore nelle immagini, la stessa emozione e possibilità di lavorare i supporti come si faceva un tempo con i chimici e la carta?

Foto di Salvatore Gebbia
Foto di Salvatore Gebbia

“Non trovo una contrapposizione tra i due sistemi, quello che oggi fa Photoshop in parte si faceva in camera oscura con la pellicola e la stampa. L’immediatezza e la facilità d’uso hanno decretato il successo del digitale, che oggi in termini di qualità ha raggiunto risultati stupefacenti. Non possiamo rinunciare al progresso, non possiamo rinunciare alla versatilità del digitale, soprattutto per chi fa fotografia da reportage e può intervenire in post-produzione per una correzione dello scatto. Poi il risultato fotografico è un insieme complesso di fattori e l’occhio resta fondamentale rispetto ad una buona macchina”.

A suo avviso c’è abbastanza spazio per la fotografia nella nostra città? 

“C’è molto fermento culturale in città ma mancano i luoghi dove poter ospitare mostre di rilievo e manca forse una politica rivolta alla progettualità capace  di radicare eventi sul territorio. In tal senso credo che il Teatro Gesualdo sia il volano culturale e l’unico contenitore di arte che possa ospitare mostre di respiro nazionale”.

Foto di Salvatore Gebbia
Foto di Salvatore Gebbia

Quali sono gli altri fotografi irpini di cui apprezza il lavoro, a suo avviso c’è una “scuola avellinese” di fotografia? Possiamo eventualmente ricostruirne un po’ la storia? 

“Non sono a conoscenza di una “scuola avellinese”, di certo c’è la famiglia Iannaccone con Nicola prima e Diego ora che ha lasciato una traccia profonda sulla fotografia in città, apprezzo molto anche il lavoro di Antonio Bergamino e Paolo Giolivo”.

Giovani e fotografia, se ne vedono tanti in giro con le reflex, c’è desiderio di imparare la tecnica oppure prevale l’approccio “istintivo” all’immagine?  

“Non solo reflex, oggi si scatta in prevalenza con il cellulare e in modo ossessivo. Cartier-Bresson scattava in modo semplice sfruttando per lo più la luce ambientale. La sua semplicità e il non essere ossessionati dalla tecnica restituivano una qualità senza tempo dei suoi scatti. Non c’è una regola sull’approccio se si ha il dono di saper leggere la vita da un obiettivo. La tecnica è necessaria per conoscere i cromatismi, la quantità di luce necessaria, l’inquadratura giusta, ma riuscire ad intuire la scena che sta per comporsi di li a qualche istante dinanzi all’obiettivo resta vitale per costruirsi una identità fotografica”.

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