Clan Cava, l’imprenditore in aula: Acunzo mi colpì alla tempia con la pistola

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VALLO LAURO – “Avrei dovuto restituire centosettantamila euro ogni centomila euro ricevuti in prestito, alla fine però non sono più riuscito a sostenere i costi e avevo chiesto di saldare in cambiali, cosa che non fu accettata e allora  ho denunciato tutto alla Guardia di Finanza”.

E’ quello che non senza problemi, legati anche alla sua difficile condizione di salute (una forma depressiva per cui all’inizio dell’esame in aula ci sono state resistenze per la modalità di conduzione dell’esame da parte del pm) e allo status detentivo cui è sottoposto, ha raccontato in aula l’imprenditore nolano R.N., confermando tutte le accuse documentate con assegni e cambiali a quello che in avvio del suo esame ha definito “un caro amico” ma poi ha descritto come un vero e proprio aguzzino.

Si tratta di uno degli imputati nel processo al clan Cava nato dalle dichiarazioni del defunto collaboratore di giustizia Aniello Acunzo su un giro di estorsioni ed usura avviato negli anni a cavallo tra il 2009 e il 2012 dal gruppo guidato da Salvatore Cava jr e successivamente al suo arresto nel maggio del 2010 dal cugino Florio Galeotalanza. Proprio quest’ultimo (escluso dal blitz scattato nel giugno 2008 e denominato Tempesta) è accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso quale appartenente al clan Cava (Galeotalanza, difeso dal penalista Raffaele Bizzarro è nipote del defunto boss Biagio Cava).

Un’udienza durata quattro ore ed un esame non facile quello per il Collegio presieduto da Sonia Matarazzo ( a latere Pierpaolo Calabrese e Fabrizio Ciccone) in primis per la difficoltà del teste ad articolare le risposte, tanto che il pm antimafia che segue l’istruttoria, il sostituto procuratore Antonio D’Alessio è stato costretto a rileggere (procedendo con la forma dell’aiuto alla memoria e della contestazione) sia la prima denuncia resa dalla “vittima” alla Guardia di Finanza, successivamente nel febbraio 2014 davanti allo stesso pm antimafia che ha condotto le indagini della Squadra Mobile di Avellino, il magistrato Francesco Soviero (all’epoca pm antimafia oggi Procuratore Aggiunto a Salerno). Accuse tutte confermate dall’ex imprenditore del settore edile di Nola, poi finito lui stesso in carcere per usura ad un ristoratore casertano.

GLI IMPUTATI
Il procedimento, che vede imputati anche Salvatore Cava, il figlio del boss Biagio, il cugino Florio Galeotalanza, Francesco Maione , nasce dalle dichiarazioni rese a partire dall’estate 2013 da parte dell’ ex affiliato al clan Cava, Aniello Acunzo, per il quale il collegio ha emesso sentenza di non luogo a procedere per morte dell’imputato (avvenuta come è noto nel maggio del 2021). I reati contestati a vario titolo  sono associazione di tipo mafioso e, in modo particolare, quello di usura aggravata dal metodo mafioso.

“VOLEVANO LA MIA CASA, MA NON HO CEDUTO”
L’imprenditore vittima di usura e successivamente anche del clan Cava, aveva da anni rapporti di natura usuraia con uno degli imputati, nello specifico Francesco Maione, anche lui imprenditore della zona vesuviana. Quelli che avrebbe puntualmente saldato per centinaia di migliaia di euro, visto che oltre a sette camion e dodici operai, grazie alle garanzie offerte dalle proprietà immobiliari di moglie e suoceri, godeva anche di una notevole scopertura bancaria (fino ad un milione e mezzo di euro). Da quanto ha raccontato, fino al momento in cui non era più riuscito a sostenere le spese di interessi e capitale. Da quel momento avrebbe subito una sorta di persecuzione dal Maione: “Mi aspettava sotto casa- ha raccontato l’imprenditore- quando andavo al bar la mattina e persino dal barbiere”. Come ha confermato in aula il testimone, non sarebbero mancate le minacce. La “vittima” avrebbe proposto di definire la vicenda e il debito firmando una cambiale di 4000 euro al mese. Maione avrebbe rifiutato, imponendo che le cambiali fossero invece firmate dalla moglie, che assicurava la garanzia delle proprietà immobiliari. ‘Avvocato-ha spiegato il testimone di Galeotalanza e Maione durante il serrato controesame del teste-non giriamoci troppo intorno, la verità è che volevano la mia casa”. Cosa alla fine non avvenuta.

ACUNZO E GALEOTALANZA, DA ALLEATI AD AGUZZINI
Proprio per convincere Maione ad accettare le cambiali firmate da lui e non dalla moglie, la vittima era riuscita ad entrare in contatto con Aniello Acunzo, già all’epoca dei fatti un noto affiliato al clan Cava. L’imprenditore racconta di averlo incontrato tramite persone di San Gennaro con cui aveva lavorato. C’è un incontro nelle campagne di Piazzolla di Nola. Acunzo sarebbe stata la persona giusta per “convincere” Maione. Ma la “vittima’, che gli versa per questa sua disponibilità sia una somma di quindicimila euro, una moto Sh che Acunzo aveva portato via in un’occasione di passaggio per casa dell’imprenditore. Moto mai più restituita, anzi qualche tempo si sarebbe definito anche il passaggio di proprietà. Infine spese per più di tremila euro ad una gioielleria di  Nola. Nulla che facesse immaginare quanto avvenuto successivamente.

Nell’incontro presso l’ufficio di Maione dove si sarebbe dovuto accettare i titoli esibiti dalla vittima, Aniello Acunzo estrae una pistola e dopo averla infilata in bocca alla “vittima” lo avrebbe anche colpito con il  calcio della pistola alla tempia sinistra intimandogli di fare quello che diceva Maione. Un repentino cambio di rotta, nonostante proprio Acunzo dovesse essere il suo modo per far desistere Maione dall’intento. Dopo questo incontro e prima che Acunzo lo minacciasse, l’imprenditore aveva anche incontrato Galeotalanza Florio, nipote del boss. Anche a lui avrebbe versato delle somme tramite assegni. Solo il primo però era stato riscosso.

L’IMPRENDITORE: NON SAPEVO CHI FOSSERO
Un lungo controesame della difesa, che ha intanto puntato proprio ad evidenziare le incongruenze del racconto dell’imprenditore. A partire da quella di Maione, che ha insistito molto sul ruolo di intermediario assunto nella vicenda dalla stessa “vittima”. Che su due passaggi è stato molto vago. In primis quello riferito proprio al fatto che si fosse rivolto ad Acunzo: “Perchè si è rivolto a lui, aveva delle competenze per risolvere la questione? Cosa avrebbe dovuto fare? Non sapeva che appartenesse alla criminalità organizzata?”. Su questo aspetto, rimarcato poi anche dal difensore di Galeotalanza, l’avvocato Bizzarro, l’imprenditore è stato molto vago:

“All’inizio non sapevo chi fosse, dopo l’ho capito”. Alla fine il teste è stato costretto ad ammettere, incalzato dall’avvocato Bizzarro che “l’amico” che avrebbe condotto la vittima da Galeotalanza sarebbe stato lo stesso Acunzo. E qui pure è stato molto vago, escludendo di conoscere la circostanza che si trattasse del nipote del boss Cava. “Perchè non ha fatto denuncia, poi, ha avuto paura?” gli chiede la presidente Matarazzo. E il teste: volevo risolvere la cosa senza troppi problemi. Proprio l’avvocato Bizzarro si è  anche riservato di depositare una sentenza di condanna in concorso con altri per usura della presunta vittima.

COLLABORATORI IN AULA
La prossima udienza, già calendarizzata per il 12 maggio, vedrà comparire in aula i due collaboratori di giustizia della camorra del Vallo di Lauro, Antonio Scibelli, legato al clan Cava e l’ex boss del clan Graziano, Felice, alias Felicione.