Cgil – Pd e lavoro: l’analisi di Giovanni Villani

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Da Giovanni Villani, Coordinatore Cgil Ariano Valle Ufita riceviamo e pubblichiamo:

Partito Democratico e lavoro.
“È successa una cosa strana. Mentre la crisi divampa le risposte dei governi di centrodestra attingono soluzioni nella cultura socialdemocratica. E pur tuttavia, in questa grande crisi in cui si mescolano liberismo e socialità, liberismo e ricetta socialdemocratica, a restare fuori è proprio la cultura socialdemocratica. Il lavoro ed i lavoratori al centro della politica, oggi sono solo soggetti ad interventi di natura economica e sostegno del reddito (importantissimo e fondamentale) ma senza il giusto riconoscimento politico che meritano per uscire dalla crisi.

A metà degli anni 70, la classe operaia, rappresentava il problema politico centrale nel nostro paese, pur essendo sempre una classe subalterna, lo era in misura decrescente e, nel suo complesso si trovava economicamente e politicamente in ascesa. Economicamente lo dimostrava l’andamento dei salari reali raddoppiatisi nel giro di un decennio; politicamente lo si ravvisava nel dato elettorale: più del 50% dei lavoratori dipendenti dava alla sinistra un voto di cambiamento e progresso. Oggi questi dati sono rovesciati: la quota di ricchezza che va ai salari è in netta diminuzione; la crisi ha accelerato le tendenze politiche più negative: il 60% degli operai vota per il centrodestra con crescente presenza per la lega; anche qui da noi nelle aree più o meno industriali e nei rioni popolari il centrodestra ha la maggioranza dei consensi elettorali.

Il PD e la sinistra hanno smesso di occuparsi del lavoro, , perché in esso vedono più una forza sociale autonoma (Veltroni e veltroniani più o meno giovani docet) oppure un soggetto politico portatore di un progetto. Addirittura, forse, sta crescendo un risentimento verso il movimento operaio. Da contraltare al disimpegno del PD e della sinistra, dobbiamo registrare il ruolo importante della CGIL, facendo argine a tutto ciò, reggendo la contraddizione in particolare del nord, dell’iscritto – delegato FIOM che milita nella lega o vota Berlusconi.

Verso questo paradosso ha spinto un diffuso bisogno di tutela: la CGIL mi difende in fabbrica, la lega sul territorio. Ma, quanto reggerà il sindacato e la CGIL a questo continuo smottamento politico e culturale di una parte significativa dei suoi iscritti?

Per questo il congresso del Pd deve essere un’occasione importante di analisi di questi processi e di proposte politiche adeguate, da una prima lettura delle tre mozioni, si nota che solo Bersani sfiora questa questione: “Se il lavoro perde dignità, anche la democrazia si indebolisce. E per dare forza al lavoro è decisivo il rinnovamento delle forze sindacali, insostituibili fattori di arricchimento della democrazia”, in maniera molto superficiale. Una toccata e fuga. Può esistere un Partito Democratico senza la giusta considerazione del mondo del lavoro e senza gli operai?

Oggi la crisi della nostra democrazia ha la sua causa prima proprio nel tradimento della premessa contenuta nell’art. 3 della Costituzione in cui si afferma che l’assetto democratico dei poteri dello Stato è fondato sul progresso sociale e sulla partecipazione politica, in particolare dei lavoratori ed oggi i lavoratori contano poco in politica e stanno male economicamente. Si rafforza l’idea che alla fine né un cittadino, né un ceto sociale, né un paese può stare bene se anche gli altri non stanno bene. Stiamo attenti perché come ammoniva il vecchio Marx la trasformazione sociale di un paese si muoverà più brutali o più umane secondo il grado di sviluppo della classe operaia”.

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