Carceri, l’appello del Garante ad Avellino: politica e società disinteressati

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AVELLINO – L’articolo 27 della Costituzione viene dimenticato ogni giorno nelle carceri italiane, comprese quelle irpine. Questo il grido di allarme che ha lanciato Carlo Mele, Garante provinciale per le persone private della libertà in Irpinia.

Anche a Palazzo di Giustizia, il Garante, insieme ai rappresentanti della Camera Penale (il presidente Gaetano Aufiero, il segretario Costantino Sabatino, gli avvocati Michele Fratello e Luca Pellecchia), la referente dell’Osservatorio Carceri Giovanna Perna, il presidente dell’ordine degli Avvocati Fabio Benigni, hanno partecipato alla mobilitazione di tutti i Garanti regionali e provinciali per sollevare la questione carceri.

Lo stesso Mele, insieme alla delegazione forense, ha letto in aula l’appello firmato dai Garanti di tutta Italia: “È una situazione che la politica, ma anche la società, non conosce concretamente. In particolare il sovraffollamento e l’incuria, soprattutto sull’aspetto sanitario, trattamento inesistente. L’articolo 27 (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” ndr), come sostenuto anche dall’avvocato Aufiero, viene quotidianamente disilluso. Il carcere è trattamentale? Se lo è, deve far sì che le persone che stanno all’interno e che stanno espiando una pena facciano soprattutto un percorso riabilitativo e rientrino nella società, soprattutto con possibilità diverse”.

“La scelta è di leggere in aula il documento” – spiega Mele – affinchè i giudici siano consapevoli delle scelte che vanno a prendere, capendo anche che una condanna comporta un cammino, un impegno da parte dello Stato a far sì che il periodo sia svolto in un percorso trattamentale. Purtroppo non è così, e allora il Tribunale diventa il luogo a cui lavorare perché anche da qui possano essere prese scelte diverse. Abbiamo 62mila detenuti nelle carceri italiane, 120 all’esterno, la recidiva per cui chi è in carcere ci ritorna sicuramente, chi la svolge fuori ha una possibilità ancora più alta, del 15%. Allora interroghiamoci: il carcere serve o non serve? Perché se non serve o lo si chiude o si cambia la Costituzione”.

Mele ha, infine, affrontato anche la questione legata all’Icam di Lauro: “Sicuramente una scelta andava fatta perché il nostro appello negli anni precedenti era mai più bambini in carcere. Si sarebbe potuta trovare una comunità, una soluzione soprattutto di tipo familiare. Adesso al Sud non avremo un Icam, al Nord ce ne sono tre al nord. Se una mamma detenuta al Sud dovrà andare in carcere con il proprio figlio andrà al Nord, con ulteriori conseguenze negative perché la famiglia non potrà andare a trovarla e i bambini vivranno in un contesto al quale non sono abituati. Ho chiesto al Provveditore di far sì che sia individuata una struttura in Campania di tipo familiare affinchè ci sia una possibilità soprattutto per le mamme con i propri figli anche in questa regione. Chiaramente lì è stata affrontata una spesa di un milione di euro per accogliere ben 35 mamme con bambini”.

Per quanto riguarda il futuro della struttura, Mele aggiunge: “Potrebbe essere destinato alla salute mentale, un carcere di bassa soglia per misure alternative trattamentali, non lo so. Sicuramente avrà un utilizzo, ma questo comporterà anche ulteriori spese per ristrutturare una struttura che di fatto è stata concepita per il passaggio dall’Icatt all’Icam e, soprattutto, per l’accoglienza di bambini con le madri”.