Camorra, l’arringa di Bizzarro davanti al Gup: il clan Sangermano non esiste

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tribunale di napoli

NAPOLI- “Il clan Sangermano non esiste”. Potrebbe sintetizzarsi così l’arringa “fiume”, durata oltre cinque ore, che il penalista Raffaele Bizzarro ha discusso davanti al Gup del Tribunale di Napoli Chiara Bardi, il magistrato che dovrà decidere non solo sul presunto capo del clan operante tra nolano e Irpinia, Agostino Sangermano, ma anche su altri presunti sodali ed esponenti di primo piano del gruppo di “Livardi”. Tra cui ci sono altri due assistiti del penalista Bizzarro, che ieri ha chiuso con la sua arringa le discussioni difensive e ora si attende che il prossimo primo dicembre, a meno di repliche del pm antimafia Sergio Raimondi, ci sia proprio il verdetto per gli imputati che hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Si tratta di Paolo Nappi, ritenuto il braccio destro del boss Sangermano e di Onofrio Sepe.

Il clan non esiste? Perché?. Bizzarro ha stigmatizzato intanto uno dei pilastri su cui verte l’indagine dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna e della Dia di Napoli. Le intercettazioni. Per il difensore dei tre imputati il materiale intercettativo raccolto dagli inquirenti non può bastare con una semplice operazione di assemblaggio a dimostrare l’esistenza di un’associazione. Anche perché molte delle conversazioni sono state “travisate”.

Può esistere un’associazione che non punti anche al controllo delle attività economiche? Perché proprio sull’esclusione del VI Comma dell’articolo 416 bis ha puntato il difensore nell’attacco alle ipotesi accusatorie. Ricordando che la stessa Cassazione ha escluso il sesto comma e l’influenza sulle attività economiche.

Il riferimento è alle decisioni sulle misure reali (i sequestri) che hanno smentito di fatto quelle sulle esigenze cautelari personali espresse dal Tribunale del Riesame. Altra nota che stona con un contesto camorristico e’ quella legata ad uno dei presupposti dell’esistenza di un’organizazione camorristica: la presenza asfissiante sul territorio. Bizzarro ha ricordato che proprio il presunto capo del clan, ovvero Agostino Sangermano, era da tempo residente a Mignano Montelungo, dove si dedicava alle attività di coltivazione dei noccioleti, che per la Cassazione non era una delle attività economiche di riferimento del gruppo criminale.

Non è mai esistito anche il cosiddetto “inchino mafioso”, visto che non è stata contestata a tale proposito alcuna imputazione agli stessi Sangermano. Più volte ha ricordato come le valutazioni dei giudici del Riesame cautelare siano state annullate da quelli del Riesame reale, ovvero chiamati a decidere sui sequestri. Anche sulla presunta partecipazione di Onofrio Sepe al gruppo criminale, il penalista ha ricordato come al di là del rapporto con il defunto Mercogliano, non ci siano evidenze di “affectio societatis”. Nessun contatto con gli altri presunti esponenti dell’associazione. C’è il capitolo delle armi. Su quello l’interpretazione delle intercettazioni da parte della difesa e’ chiara: non erano armi del clan.

Si trattava di una detenzione per finalità di caccia. Quando nelle intercettazioni si fa riferimento ad uscite con armi alle due e mezza del pomeriggio per raggiungere località montane non può che riferirsi alle attività venatorie a cui si sarebbe dedicato lo stesso Sepe. Sara’ ora il Gup a dover valutare se le tesi proposte dalle difese hanno scalfito o meno il quadro accusatorio che è stato ribadito in aula dal pm antimafia Raimondi. Lo scorso 25 settembre come è noto lo stesso magistrato ha invocato infatti condanne per circa ottanta anni nei confronti degli imputati.

In particolare diciotto anni per Agostino Sangermano, presunto capoclan del sodalizio nato tra nolano e Irpinia dopo la crisi dei clan Russo e Cava, diciotto anni anche per suo cognato Sepe Salvatore, attivo soprattutto nell’imposizione dei prodotti in esclusiva a locali tra la provincia di Napoli e quella di Avellino, dodici anni per Nappi Paolo, presunto braccio destro del boss Sangermano, dieci anni per Ezio Mercogliano, secondo le indagini dell’Antimafia una “sentinella” del gruppo di Livardi, 8 anni e 4 mesi invece per Giuseppe Buonincontri, infine dodici anni per Sepe Onofrio, da alcuni mesi detenuto agli arresti domiciliari.