di Marco Grasso – Lo Sponz Fest è uno dei pochi punti di forza dell’offerta turistica della nostra provincia. Per carità, nessuno si offenda. Sappiamo benissimo che in Irpinia ci sono molti altri eventi noti e di grande impatto, più antichi e radicati della settimana di contaminazione culturale inventata dal cantastorie Vinicio Capossela e capaci di richiamare migliaia di persone da tutta la Campania.
Un esempio su tutti? La sagra del tartufo di Bagnoli che, nel corso degli anni, ha visto crescere in maniera esponenziale il numeri dei visitatori e allargarsi il mercato di riferimento. Se all’inizio erano soprattutto gli irpini a trasferirsi in massa, nell’ultimo week-end di ottobre, nel borgo ai piedi del Laceno, ora i locali hanno di fatto lasciato il campo a campani, toscani e pugliesi.
Decine di pullman partono da anni alla volta di Bagnoli alimentando un flusso turistico che non può che fare bene al nostro territorio.
Lo Sponz Fest ha però avuto il merito di alzare l’asticella della sfida: non più, non solo enogastronomia, ma anche tanta cultura, confronto, musica e scambio di esperienze. Pesa, e non poco, la presenza di Capossela, capace di far ripartire il treno della malandata tratta Avellino-Rocchetta Sant’Antonio e di portare in paesini non esattamente a portata di mano (Cairano e non solo) ospiti nazionali e internazionali di grande richiamo e suggestione.
Giunti alla sesta edizione c’è però forse bisogno di fare qualcosa di più di un semplice bilancio di fine evento. I numeri sono importanti, non ancora imponenti, ma importanti.
Si parla di circa 25mila presenze e di un movimento turistico (anche da fuori regione) di tutto rispetto che si è tradotto nell’annunciato e previsto sold out delle strutture alberghiere della zona e di un volume d’affari decisamente sopra la media per ristoranti, bar, agriturismo e quant’altro.
Provatevi a fare un giro ora da quelle parti, dopo i bagordi dell’ultima settimana. Sull’Alta Irpinia è tornata la pace (qualcuno dirà finalmente) e ci si prepara all’attesa della prossima edizione. Il rischio, in altre parole, è di accontentarsi, di scambiarsi complimenti e pacche sulle spalle e di tornare rapidamente al tran tran di tutti i giorni.
Invece eventi di grande impatto come lo Sponz Fest non dovrebbero mai finire, la loro scia rumorosa e luminosa dovrebbe essere sfruttata per tutto l’anno. Non basta una settimana di baldoria per decretare la rinascita dell’Alta Irpinia.
Serve altro, molto altro. Subito, quando il fuoco sotto la cenere è ancora caldo. Lo so, non dico nulla di nuovo, nulla di straordinario.
Ma, a pensarci bene, è proprio quello che serve alla nostra provincia che, con poco più di 400mila anime sparpagliate su un territorio vasto e in buona parte ancora incontaminato, avrebbe bisogno solo di un po’ di sana programmazione e di un rinnovato spirito di collaborazione e condivisione per trovare la strada giusta ed aprire una nuova stagione di crescita, di sviluppo assolutamente misurato ed ecocompatibile.
Numeri non mirabolanti, ma sicuri, su cui poter contare sempre. Sento parlare da decenni di cabina di regia e di un quantomai necessario e auspicato coordinamento delle varie iniziative in campo per arrivare ad un calendario di eventi unico, che eviti accavallamenti e duplicazioni.
Belle parole, assolutamente condivisibili, che non si sono però mai tradotte in fatti e atti concreti. E’ davvero così complicato mettere attorno allo stesso tavolo istituzioni, operatori economici e associazioni per provare a definire una strategia finalmente unitaria?
E’ possibile che una provincia così piccola non riesca a dotarsi di un marchio e di un’immagine unica da promuovere ed esportare all’esterno? Possibile che tutto debba essere affidato all’iniziativa dei singoli?
E’ così complicato portare un turista in cantina per fargli assaggiare i nostri straordinari vini e poi indirizzarlo in un mirato tour della nostra provincia? E’ davvero un’impresa titanica pensare che quello stesso turista possa, a fine giornata, cenare in un ristorante tipico della nostra provincia per poi pernottare in agriturismo?
Certo, si tratta di investire in formazione, promozione e comunicazione. L’offerta turistica va organizzata, a partire dalle strutture. Servono nuove professionalità, giovani in gamba e motivati. Ma anche chi mastichi di programmazione comunitaria.
Del resto si parla da anni di un ritorno alla natura e di un disperato bisogno di lentezza e di tranquillità. L’Irpinia avrebbe tutte le caratteristiche per ritagliarsi il suo spazio in questo turismo di nicchia. I numeri, perché poi bisogna fare sempre i conti con quelli, ci condannano ancora alla marginalità.
I flussi turistici che attraversano la Campania in lungo e largo per buona parte dell’anno ci sfiorano appena, senza lasciare traccia. Il turismo, inutile nasconderselo, dalle nostre parti è ancora una chimera, un sogno affidato a pochi visionari.
Eppure siamo ancora in tempo a metterci in marcia, a fare squadra e lavorare su progetti fattibili e compatibili. Ognuno con la propria storia e le proprie competenze, ognuno con il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze da mettere al servizio di un’idea più alta e complessiva, nel segno dell’Irpinia.
A Paternopoli si sta lavorando a qualcosa del genere, intorno al grande attrattore vino che è solo un pezzo della storia da raccontare. Una voce sublime che ha bisogno di tutto il territorio per risuonare ancora più forte e suadente.
Un gioco di squadra sul quale anche i più scettici sembrano finalmente convergere per dare vita ad un modello che, una volta completato il mosaico, potrebbe indicare una nuova rotta per una provincia ancora alla ricerca di una sua identità.