di Claudio De Vito – L’arrivo ad Avellino di Michele Marcolini è scivolato via tra commenti, sensazioni e impressioni che solitamente accompagnano il primo impatto con il nuovo allenatore. Insomma il minimo sindacale che l’opinione pubblica possa offrire soprattutto sui social dove il partito dei fiduciosi e quello degli scettici non hanno tardato a schierarsi. Funziona così in tutte le piazze: la scelta di un club non può essere sempre condivisa dalla totalità della tifoseria, a maggior ragione quando la smania di rilancio è ai massimi storici dopo un po’ di delusioni.
Ma è proprio il minimo sindacale a livello ambientale a preoccupare ad Avellino. Il vuoto di entusiasmo che ha circondato la presentazione di Michele Marcolini da Savona ha sorpreso, anche se fino ad un certo punto. Dov’è finito tutto quel calore che travolse letteralmente Attilio Tesser costretto quasi a rimetterci il vestito che indossava per il fuoco amico azionato dalla torcida all’esterno della sala stampa? E ancora, l’anno successivo, il siparietto con i tifosi che costrinse Domenico Toscano a riporre la cravatta granata nel taschino della giacca? Michele Marcolini non avrebbe avuto problemi con la cravatta (che non ha indossato) e avrebbe fatto certamente a meno di ustionarsi accidentalmente con qualche torcia, ma non di toccare con mano la passione del tifoso avellinese.
Ma lì fuori alla sala stampa, ad eccezione di qualche curioso, il cuore pulsante del tifo non c’era. La Curva Sud e in generale il tifo organizzato hanno ritenuto opportuno stare alla larga dall’evento in attesa di tempi migliori nei rapporti con il club. Una posizione di stand-by nelle relazioni società-tifosi che sintetizza il momento del calcio ad Avellino. Il vuoto di venerdì non solo preoccupa, ma fa anche male e induce Walter Taccone a compiere riflessioni sull’operato degli ultimi anni. Cose buone e altre meno buone nel calderone delle valutazioni complessive. Gli errori sono stati ammessi, alcuni perdonati per amore dei colori e altri no.
Tuttavia non è soltanto un discorso societario. Certo, alcune scelte societarie hanno inciso sul rendimento della squadra ma non tutto può essere ricondotto alla politica di Walter Taccone e dei suoi collaboratori. L’ultima sofferta stagione è stata una mazzata sull’entusiasmo del tifoso per vicende di campo ed extra campo insieme. Ad un certo punto del campionato, l’Avellino ha smesso di entusiasmare con Walter Novellino in panchina. L’avvento di Claudio Foscarini ha prodotto la classica scossa circoscritta alla fase iniziale e ridimensionata dai risultati successivi. Di fondo si è registrato un atteggiamento di squadra inadeguato al valore della permanenza nella categoria. Il gap di personalità, alimentato da quello fisico, ha rischiato di affossare l’Avellino.
A Michele Marcolini da Savona allora spetta l’arduo compito di restituire passione ed entusiasmo ad una piazza che vuol tornare ad infiammarsi. Passi pure l’obiettivo di un campionato di metà classifica, senza patemi d’animo (che pure rappresenta un’impresa alla luce delle ultime due annate), ma non l’assenza di carattere all’interno del gruppo. Marcolini è stato presentato come motivatore, ha lasciato intendere che il suo 3-5-2 sarà improntato all’aggressività sulla scia dei canoni rastelliani. Recuperarli sarebbe già una buona premessa. All’Avellino non si chiede di essere bello. Va bene anche l’essere operaio, combattivo ma allo stesso tempo concreto, efficace e non più colabrodo in difesa. Così si riconquista la gente. Quel vuoto fa male ma d’altronde si sa: di fronte all’amore per la maglia non c’è minimo sindacale che tenga.