Michele De Leo – Le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Avellino favoriscono una riflessione sulla terza repubblica che, forse, non assicura alcuno dei cambiamenti che in tanti auspicavano.
La prima analisi riguarda l’esito del voto del 10 giugno: alzi la mano chi non ha sentito parlare di promesse elettorali di posti di lavoro e aiuti vari per spiegare la decisione di puntare sulla continuità. I cittadini – nello specifico quelli di Avellino – sarebbero, dunque, stati liberi di votare il 4 marzo – quando hanno premiato una certa classe politica – mentre, invece, non lo sarebbero stati il 10 giugno. Fosse stato così semplice “corrompere” la comunità avellinese, verrebbe da chiedersi perché i perdenti delle elezioni politiche non ci abbiano pensato prima.
Ma, non ho alcun interesse a soffermarmi sull’analisi del voto, che sarebbe comunque smentita alla prossima occasione. Piuttosto, vorrei sottolineare come la democrazia, pur essendo ormai ridotta ad oclocrazia, andrebbe rispettata in qualunque circostanza. Troppo facile – e questo è un atteggiamento da spocchiosi – plaudire il popolo quando vota una certa parte politica e “condannarlo” quando vota diversamente. Se il 4 marzo la gente ha premiato il Movimento Cinque Stelle è perché ha ritenuto i suoi rappresentanti meritevoli di un consenso. Parimenti, se ha votato Gianluca Festa piuttosto che Livio Petitto e Laura Nargi, Giuseppe Negrone, Enza Ambrosone e Stefano La Verde è per premiare il loro impegno nel consiglio comunale e per la città. Li ha ritenuti, anche in questo caso, meritevoli di un consenso. Certamente, si tratta di un voto che non piacerà a Luca Cipriano, ai Cinque Stelle e agli altri oppositori del centrosinistra. La democrazia andrebbe, però, rispettata in qualunque occasione.
Risultano, poi, quanto mai singolari le accuse di voti ottenuti per promesse elettorali rivolte alle fasce deboli, soprattutto quando arrivano da chi ha ufficialmente proposto il reddito di cittadinanza comunale. Il Movimento Cinque Stelle è, comunque, al ballottaggio e incassa il sostegno di tre candidati perdenti: Luca Cipriano, Sabino Morano e Costantino Preziosi. Ognuno – proprio perché la democrazia non è ad intermittenza – è libero di votare chi vuole. Però – e questo è auspicabile – andrebbe detto agli avellinesi perché dovrebbero scegliere Vincenzo Ciampi sindaco e non Nello Pizza. Spiegare agli avellinesi che bisognerebbe votare Ciampi per evitare un Foti bis – il sindaco del centrosinistra sarebbe sostenuto da una maggioranza che, per la gran parte, è la fotocopia di quella che, per mesi, ha tenuto in scacco il sindaco uscente – è un modo per provare ad arrampicarsi sugli specchi. Per carità, Pizza avrebbe il suo bel daffare con quei consiglieri che – nel corso della precedente legislatura – hanno creato al primo cittadino più di qualche grattacapo. Ma, è doveroso dire che quegli stessi consiglieri hanno già conquistato una poltrona: chiunque dovesse essere il nuovo sindaco del capoluogo, quei signori che in tanti mettono in discussione ma che in tantissimi votano farebbero comunque parte dell’assise cittadina. Se Ciampi dovesse vestire la fascia tricolore, nel parlamentino siederebbero comunque i vari Petitto, Festa, Ambrosone, Iacovacci, Nargi, La Verde e Negrone tanto per citarne alcuni. Non scomparirebbero con un colpo di bacchetta magica. Tantomeno potrebbero essere risucchiati in una spirale di scie chimiche. Sarebbero in discussione – con la vittoria dell’uno o dell’altro candidato sindaco – solo poche poltrone.
Tra l’altro, con Ciampi sindaco si rischierebbe l’effetto anatra zoppa: nella migliore delle ipotesi – con tutti gli eletti nelle liste perdenti ad appoggiare la sua azione amministrativa – il neo primo cittadino avrebbe quindici consiglieri su 32. L’approvazione di qualsiasi provvedimento, dunque, avrebbe bisogno del voto di almeno due consiglieri eletti nelle fila del centrosinistra o, se preferite, nelle sette liste di sostegno a Pizza. In quel caso – bisognerebbe chiedere a Ciampi e a chi si è aggregato, pur senza alcun apparentamento ufficiale, alla sua compagine per il ballottaggio – quei consiglieri sarebbero ancora impresentabili? Se così fosse, alla prima votazione di un esercizio finanziario, l’amministrazione rischierebbe di andare a casa. Vuoi vedere che è proprio questo l’obiettivo di qualcuno?