Omicidio Nizza, il 34enne arrestato: “Lo uccisi e andai al bar a mangiare il gelato”

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BENEVENTO – Svolta nelle indagini dell’omicidio di Cosimo Nizza, il pregiudicato beneventano sulla sedia a rotelle a causa di un incidente stradale, ucciso nell’aprile 2009 in pieno giorno al Rione Libertà, con tre colpi di pistola alla testa. Brillante operazione della Polizia di Benevento che, questa mattina, ha tenuto una conferenza stampa per illustrare tutti i dettagli che hanno portato alla svolta. Dettagli inquietanti, senza ombra di dubbio. Gli inquierenti hanno spiegato che fu lo stesso Nicola Fallarino a confidare a un esponente di spicco del clan Di Silvio di aver ucciso Cosimo Nizza.  Il dato emerge anche dall’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal gip nei confronti del 34enne beneventano accusato di omicidio aggravato in concorso e porto abusivo di armi. Un’ordinanza da cui emergono particolari agghiaccianti, come il racconto fatto da Giuseppe Fallarino ad un certo Antonio. Il nipote di Nicola Fallarino racconta la confessione che lo zio gli aveva fatto: “Lo uccisi all’una meno venti, all’una e mezza stavo davanti al bar ‘Margherita’ a mangiarmi il gelato”. Voleva accreditarsi agli occhi dell’esponente del clan e oggi collaboratore di giustizia, per questo gli raccontò di aver sparato “a un ragazzo” mentre si trovava agli arresti domiciliari: “Io so’ quello che ha sparato a Cosimo Nizza”, riferì a verbale il collaboratore. “Una mania di presentazione… l’accreditarsi… – spiega ancora l’uomo agli inquirenti – Comunque io già sapevo… non lo avevo mai visto… però comunque sapevo che non era l’ultimo arrivato perchè… ci dobbiamo arrivare… aveva sparato agli arresti domiciliari su un ragazzo su una macchina”.

A distanza di quasi nove anni dall’omicidio di Cosimo Nizza, avvenuto il 27 aprile del 2009 nel Rione Libertà, gli agenti della Squadra Mobile di Benevento hanno riconosciuto in Fallarino uno dei due responsabili dell’agguato. L’uomo, già detenuto nella casa circondariale di Secondigliano e promotore, secondo gli inquirenti, di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, facendo riferimento alla pistola, disse ai familiari: “comunque io non mi preoccupo… – si legge nell’ordinanza – lo sai perché?… Pure se l’hanno buttata.. e gli altri l’hanno buttata… loro stavano carcerati…”. A inchiodare Fallarino fu inizialmente una donna legata ad ambienti malavitosi di Benevento e poi sottoposta a programma provvisorio di protezione come collaboratore di giustizia. Alle 12,30 di quel giorno era appena uscita di casa per andare a prendere i figli a scuola, sentì il primo colpo di pistola e vide lo scooterone fuggire : “Voglio riferire che nel vedere la moto che passava davanti a meno di dieci metri dal mio portone – raccontò la donna ai pm il 16 luglio 2012 – ho riconosciuto dagli occhi Masone Antonio che stava dietro alla moto mentre Nicola Fallarino guidava (…) Preciso che ho riconosciuto Fallarino Nicola dalle spalle, l’ho visto di profilo, non si è girato, ma Masone Antonio si è girato verso di me ed io l’ho riconosciuto; avevano un casco non integrale, davanti agli occhi non avevano la mascherina, ma solo il laccio intorno al mento”.