Avellino – Una città senza aspirazioni si riflette nella sua gestione urbanistica.

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Avellino Corso Vittorio Emanuele
Avellino Corso Vittorio Emanuele

Dopo le interviste all’assessore all’Urbanistica Ugo Tomasone , all’ex vice-sindaco dell’Amministrazione Di Nunno Antonio Gengaro e dopo l’intervento di Giovanni D’Ercole,  esponente del centro destra, prosegue il nostro approfondimento sul futuro della città di Avellino e sugli aspetti legati all’Urbanistica. Oggi ospitiamo le riflessioni dell’avvocato Michela Arricale, militante PD – (L.S.)

Il PUC è un linguaggio, serve a comunicare e dare corpo ai desideri e alle aspirazioni di una Città.

Non è certo questa la definizione che troverete nell’enciclopedia, essa banalmente vi dirà che il Piano Urbanistico Comunale è “uno strumento di gestione del territorio

Ma “strumento di gestione”, implicando il governo di un processo ( e ancora a monte l’esistenza stessa di un processo da governare, e cioè di una azione amministrativa ispirata ad un obiettivo), non significa certo cosa diversa.

Il PUC è la risposta concreta che la Città dà alla domanda : cosa vogliamo diventare?

Ed è in questo senso che il piano Cagnardi è un piano urbanistico “illuminato”. Esso risponde con chiarezza e convinzione  a quella domanda, e la sua è una risposta ragionata, risultato di un processo di indagine e di sintesi molto partecipato dalla intera comunità.

Questa risposta non può certo essere data una volta per sempre: la Città può decidere di cambiare obiettivo, di voler diventare altro, o di seguire strade diverse per realizzarlo; la trasformazione della “città quotidiana” nella “Città Immaginata” (in termini più prosaici- il processo urbanistico)  si realizza solo negli anni, e non può mai dirsi veramente concluso;  vive e si evolve in accordo con la vita e l’evoluzione della Città stessa, in un rapporto circolare tra due poli che si generano e si presuppongono l’un l’altro.

Se la Città non ha obiettivi chiari, questo si rifletterà  nella sua gestione urbanistica.

La storia di una Città, del resto, non è altro che la storia del governo del suo territorio.

Osservata da questa prospettiva Avellino è una città che ha messo da parte le proprie ambizioni e le proprie aspirazioni, che ha smesso di immaginare un futuro per sè.

L’Urbanistica è un linguaggio che non conosce menzogna: è la cartina di tornasole attraverso cui misurare gli obiettivi  e l’operato stesso di un amministrazione, il mezzo attraverso cui smascherarne le bugie e le inadeguatezze.

Il futuro che immaginavamo è nel PUC, la realtà che viviamo è nella sua attuazione distorta.

E tale realtà ci rappresenta  una amministrazione che ha scelto negli anni, con coscienza e volontà, di disinteressarsi del futuro della polis per dedicarsi anima e cuore al contingente interesse di questo o quel gruppo di influenza.

E’ la rappresentazione chiara dell’assenza di ogni progetto politico.

E’ come se il nostro obiettivo fosse attraversare un lago, e invece delle barche ci mettessero a disposizione delle biciclette: se il mezzo non è adeguato al fine e l’unico risultato possibile  è il fallimento.

A chi imputare questo fallimento? Non certo al lago!

È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati” [“le città invisibili” Calvino]

Avellino cosa vuole diventare?

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