Avellino – Strutture Pubbliche: guerra tra nani che pensan di esser giganti.

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magazine 2015
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“Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti”. (Karl Kraus)

Per ragioni legate al lavoro e per motivi personali negli ultimi mesi sono riuscita poco a lasciare Avellino per recarmi altrove a godere della mia amata musica, e non ho potuto  immergermi molto in un mondo fatto di arte, immagini e bellezza.

Cammino spesso a piedi ed attraverso con lentezza la mia città, la vivo intensamente per il mestiere che svolgo, ne conosco limiti e caratteristiche, mai ho avuto la voglia di chiudere gli occhi dinanzi agli scempi ed alle brutture ed ho sempre contribuito alla crescita di questa collettività pensando che essere cittadino significa non accettare ma “organizzarsi” come ci ha gridato Hirschman, qualche sera fa.

Ma in questi giorni leggendo il dibattito sulle strutture pubbliche della città, sulle funzioni e sugli obiettivi, sugli scopi che si debbano perseguire quando si parla della cosa pubblica ho avuto un vero e proprio scoramento, un tremito, un timore.

Mai una volta ha fatto la sua comparsa il termine Cultura, nella sua accezione più alta, e tutto si è ridotto ad una piccola battaglia tra soggetti diversissimi tra di loro tutti portatori di visioni non conciliabili, da cui non sarà possibile ricavare una vera e propria sintesi hegelianamente intesa.

Non ho voglia di entrare nel merito della disputa che poco mi attrae, altrove le strutture pubbliche vengono assegnate a privati o ad associazioni che le gestiscono , secondo le finalità imposte dagli enti e senza troppo baccano.

Avellino deve smettere di ciarlare, deve trovare la propria strada e se la stessa è distrutta da un ventennio di non cura e di abbandono la deve ricostruire, pezzo dopo pezzo e può farlo solo partendo dalla cultura.

La società di massa non vuole cultura ma svago, così scriveva Hannah Arendt.

Agli amministratori ed ai dirigenti politici, alle associazioni ed agli intellettuali un compito arduo, ma che non può essere più tralasciato o disatteso.

L’omologazione  il nemico da abbattere, l’interesse personalistico da accantonare.

Che piaccia o no, che si condividano o meno modi e tempi e modalità, in questo momento il Teatro rappresenta per la città la sola visione pubblica in materia di cultura.

Si badi bene parlo di visione pubblica, non discuto sullo splendido lavoro fatto dalle associazioni, che con difficoltà creano opportunità e spazi, o di chi anche nel privato opera con i propri mezzi per educare e spingere il pubblico a crescere.

Ma si deve dar atto che esiste un Progetto che tiene quella struttura pubblica viva e piena tutto l’anno, in estate come d’inverno, mentre il resto intorno muore.

Ed un dato sotto gli occhi di tutti.

Non sono più ipotizzabili gestioni a perdere, i beni vanno gestiti alla luce di un principio chiaro ed imprescindibile, che è quello della economicità, un certo numero di investimenti che devono dare frutti.

Le cattedrali nel deserto non servono più a nessuno, ma soprattutto non ce lo possiamo più permettere.

E mentre noi giochiamo a filosofeggiare, il mondo cambia ed i giovani abbandonano la nostra terra, stanchi dell’assenza di spazio e di opportunità e privati del diritto di vivere e sognare, di godere di una musica che riempia la loro vita, ed immersi nella polvere di una terra depredata da  rancidi e vecchi personaggi che ne hanno divorato il futuro .

“Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro”.(Albert Camus).

 

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