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Avellino e la Shoah, ecco i campi di concentramento fascisti in Irpinia

Renato Spiniello – L’orrore dei campi di sterminio, con l’olocausto per milioni di ebrei, dissidenti politici, testimoni di Geova, rom e omosessuali, travolse anche l’Irpinia e la Campania. Quando Hitler promulgò le leggi razziali, il fascismo si adeguò e creò ad hoc campi di internamento per lo scopo.

Gli allora alti dirigenti dello Stato promossero due tipi di internamento, quello libero (che obbligava gli stranieri a risiedere in un determinato comune, ma con libertà di movimento nell’ambito del territorio comunale) e quello coatto, vera e propria prigione.

In Irpinia, i comuni che ospitarono internati liberi furono: Aiello del Sabato, Andretta, Avella, Bagnoli Irpino, Bisaccia, Bonito, Calabritto, Calitri, Castelbaronia, Chiusano San Domenico, Forino, Frigento, Flumeri, Gesualdo, Greci, Grottaminarda, Lacedonia, Lauro, Marzano di Nola, Mercogliano, Mirabella, Montefusco, Montella, Montecalvo, Montemarano, Montemiletto, Nusco, Ospedaletto d’Alpinolo, Paternopoli, Quindici, S. Angelo dei Lombardi, San Martino Valle Caudina, Sirignano, Teora, Torella dei Lombardi.

Nel contempo sorsero anche i campi di internamento coatto.

1940, era precisamente un venerdì, il 7 giugno e non fu un giorno come gli altri in Irpinia. Quel giorno segnò infatti una tragica pagina di storia non solo a livello locale, ma mondiale: l’apertura dei tre campi di concentramento fascisti di Solofra, Monteforte Irpino, e Ariano Irpino.

In vista di una guerra sempre più imminente il Ministero dell’Interno, quattro anni prima di quella data, aveva già predisposto la reclusione degli “italiani pericolosi”, i cosiddetti “… sospetti in linea politica”.

La geografia dell’intolleranza fascista scelse il Sud Italia e la Campania, lontana dal conflitto, arretrata e ancora vittima dell’illusione dell’Impero. L’entrata in guerra dell’Italia mise poi i cittadini l’uno contro l’altro, la colpa risiedeva soltanto nella carta d’identità e per questo la pena era la reclusione forzata nei tre campi di concentramento per civili.

A Campagna, invece, nella provincia di Salerno venivano deportati gli ebrei.

Il campo a Solofra

Quello di Solofra era stato istituito esclusivamente per prigionieri femminili: nel palazzo signorile di una ricca famiglia di conciatori furono rinchiuse per tre anni 26 donne, in prevalenza francesi e polacche, per lo più giovani. La loro colpa quella di aver sposato degli antifascisti. Furono internate nel fabbricato di via della Misericordia e considerate da tutte prostitute. Quel campo rimase attivo fino all’autunno del 1943 quando lo stabile, prima per il terribile bombardamento di settembre e poi per l’arrivo degli Alleati, fu dismesso.

A Monteforte Irpino, nel cuore dell’Irpinia, venivano ospitati soprattutto oppositori politici. Nell’ex orfanotrofio Loffredo risiedettero per tre anni un centinaio di detenuti considerati “pericolosi”. Alcune lettere in ricordo del loro passaggio su quei monti, dalle quali emerge la durezza della loro vita quotidiana, privati della libertà, sottoposti a censura e costretti a vivere con un sussidio di 6,5 lire al giorno, ovvero l’equivalente ad un pasto alla mensa del campo. Gli internati scrivevano alla questura di Avellino e chiedevano libri in inglese, vestiti e permessi per poter raggiungere le proprie famiglie. Dopo l’arrivo degli alleati il campo si svuotò per lasciare il posto ad altre vittime della guerra: profughi istriani e dalmati, cacciati dalle loro abitazioni dal regime di Tito.

Il campo ad Ariano

Infine Ariano Irpino, una struttura della quale restano poche foto, ma di sicuro è quella maggiormente somigliante ai lager tedeschi.

Il 7 giugno 1940 il Ministero dell’Interno inviò al Prefetto di Avellino Nicola Trifuoggi una circolare con cui disponeva di destinare a campo di concentramento “per confinati ed internati” le casette antisismiche di proprietà del Comune del Tricolle ed il villino della famiglia Mazza ubicati in località Martiri. Le casette erano state costruite subito dopo il disastroso sisma che colpì l’Irpinia tra la notte del 22 e del 23 luglio 1930, provocando vittime e macerie; ad Ariano morirono 82 persone.

Con la dichiarazione dell’armistizio l’8 settembre 1943 e con l’arrivo delle forze alleate nel nostro territorio il campo fu abbandonato, anche se qualche internato continuò a vivere nelle casette non avendo le possibilità economiche di rientrare nella propria terra di provenienza.

Il campo a Monteforte

Le dieci baracche-dormitorio erano circondante dal filo spinato, il campo ospitava all’incirca 100 persone, in prevalenza provenienti dall’Est. Quelle baracche furono bruciate dai tedeschi in ritirata dopo l’8 settembre e per cui restano poche tracce. Nessuno per anni ne ha parlato, troppo grande l’imbarazzo e la vergogna dell’Olocausto, tanto che quella memoria manca ancora oggi, a 70 anni di distanza.

L’orrore peggiore fu nella provincia di Salerno. Ci sono posti in cui il dovere della memoria, la testimonianza del proprio passato, diventa il segno che distingue un’intera comunità. Campagna, paesello di undicimila anime, è uno di questi. Tra il 1940 e il 1943 si svolse una delle pagine più intense e più trascurate della storia della Campania. La cittadina venne scelta dal Ministero dell’Interno fascista per allestire uno dei 40 campi di concentramento sparsi nel meridione.

Due strutture adatte all’addestramento degli allievi ufficiali diventarono la dimora forzata di oltre 300 ebrei, molti dei quali proveniente dall’Est Europa. Le porte si aprirono il 16 giugno del 1940, gli ebrei erano condotti a San Bartolomeo e all’Immacolata Concezione stipati sui camion e legati gli uni agli altri, come in un’unica enorme catena, su di loro vigilavano carabinieri e poliziotti.

Proprio a Campagna si è consumata l’eroica vicenda di un irpino, Giovanni Palatucci, che da questore di Fiume trasferì un gruppo di ebrei al campo di concentramento campano, dove lo zio vescovo, Giuseppe Palatucci, riuscì a favorirne, con l’aiuto della popolazione, la fuga, quando i nazifascisti ne disposero la deportazione. Palatucci, scoperto, finì a Dachau dove morì nel 1945, ma questa è un’altra storia

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