Claudio De Vito – Il brodino caldo assaporato una settimana fa contro il Bari ha prodotto gli effetti sperati sul piano della prestazione e dell’atteggiamento, meno su quello del risultato. L’Avellino di Vicenza ha dimostrato di essere guarito dal raffreddore post derby presentandosi al “Romeo Menti” con fare propositivo ed esclusivamente volto a prendere il sopravvento sull’avversario. I biancoverdi sono saliti sui Monti Berici con il chiaro intento di far male.
E non era un gioco da ragazzi considerata l’assenza dell’uomo simbolo, del trascinatore, del totem Gigi Castaldo bloccato a casa da un acciacco che, carta d’identità alla mano, ci sta tutto e va preventivato nell’arco della stagione. In difesa inoltre le solite porte girevoli dell’ultimo periodo a causa delle squalifiche di Pucino e Chiosa e dell’influenza occorsa a Rea.
Eppure l’Avelino ha saputo reinventarsi con quell’animus pugnandi che ha condito una prova di spessore agonistico e tecnico insieme. Vietato speculare. Attilio Tesser non riesce proprio a farlo e ancora una volta ha ordinato ai suoi di imporre i propri ritmi sulla scorta di una condizione fisica che cresce partita dopo partita. Dopo un avvio contratto offerto al Vicenza come valvola di sfogo della sua fame di punti, l’Avellino è venuto fuori con sicurezza e creando le occasioni migliori del match.
Il palo di Tavano (scaturito da palla inattiva) e la chance colossale di Mokulu – innescato magistralmente dal partner d’attacco – a tu per tu con il portiere gridano ancora vendetta, ma l’Avellino, complice un Visconti finalmente sui livelli di spinta dell’età rastelliana, ha alzato il ritmo anche sulla corsia mancina con l’ex Cremonese che nell’arco dell’intera partita si è proposto costringendo Galano a preoccuparsi più di contenere che di offendere. Suo il traversone per la zampata mancata da Mokulu sotto misura sempre nel primo tempo.
Nella ripresa, Arini e compagni hanno legittimato la superiorità ai cosiddetti punti sfiorando la rete con Insigne, ancora con Mokulu e Tavano, quest’ultimo in palla e sempre nel vivo della manovra offensiva. Una prova di carattere a tutti gli effetti, da vera squadra che punta ad un piazzamento play-off. Peccato ancora una volta per la mole di palle gol sprecate che gli attaccanti avrebbero dovuto capitalizzare.
E’ probabilmente questo l’unico neo di un Avellino che a Vicenza ha conquistato la scena dando la sua impronta di personalità e temperamento ad una gara in cui c’è stata anche la solidità del reparto difensivo. La condotta nelle retrovie è stata impeccabile o quasi, con tutti gli interpreti chiamati in causa nel corso del match abili a limitare l’enorme potenziale di fuoco di un Vicenza che puntualmente attaccava con gli uomini del tridente, con gli inserimenti degli interni Sbrissa e Signori e degli esterni di difesa Laverone (solitamente più a suo agio come attaccante esterno) e D’Elia.
A conti fatti, affermare che il pari stia un po’ stretto alla formazione di Tesser non è affatto blasfemia perché l’Avellino si è presentato a Vicenza con il piglio della grande squadra sicura dei propri mezzi. La strada tracciata è quella giusta. L’Avellino possiede tutte le credenziali per sgomitare nella bagarre play-off a patto che lo spirito sia sempre quello di Vicenza e la cattiveria in area di rigore torni ad essere quella del girone d’andata.