L’analisi – Carattere, difesa e buio pesto

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Contro il Pisa contava solamente il risultato e l’Avellino ha interpretato alla lettera l’assioma della vigilia. C’è voluta una deviazione decisiva sul sinistro fuori misura di D’Angelo per ridare fiato più che altro alla risalita in classifica, e non certo alle speranze dei tifosi che non hanno gradito lo spettacolo sull’acqua che ha inzuppato all’inverosimile il sintetico del Partenio-Lombardi.

Certo il campo pesante può rappresentare un’attenuante di partenza, ma come per l’Avellino lo è stato anche per il Pisa. E obiettivamente, con tutti i limiti che accompagnano la squadra biancoverde dal 15 luglio, risulta difficile immaginare una prestazione che si discosti da quella di ieri dal punto di vista della sostanza tecnica. Povertà di gioco che ai più ha fatto storcere il naso anche di fronte al pareggio di Carpi, nonostante fosse stato ottenuto sul campo di una retrocessa dalla massima serie.

Risultato e prestazione. Due piani paralleli che scindono inevitabilmente la valutazione del rendimento dell’Avellino. L’1-0 sul Pisa vale doppio se si considera il primo parametro. L’autogol di Longhi infatti ha coronato il classico minimo sforzo attraverso il quale pervenire al massimo risultato.

Quanto basta ad azzerare il credito con la sfortuna e a ripristinare una tradizione casalinga piuttosto soddisfacente in questo campionato se la si mette a paragone con il girone di ritorno della gestione Tesser. L’Avellino è tornato a vincere a casa propria e non è roba di poco conto per una squadra che deve salvarsi con il coltello tra i denti. Sono quattro gli acuti nelle ultime cinque apparizioni davanti al pubblico amico.

Il piatto piange invece a livello di performance, deludente e a tratti irritante con la solita valanga di errori individuali in fase di manovra con il pallone tra i propri piedi. Zero idee, lanci lunghi, traversoni dalla trequarti facilmente leggibili dalla difesa avversaria e due attaccanti abbandonati al loro destino come a Carpi. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole (che dopo tanta pioggia ha fatto capolino tra le nuvole proprio dopo il vantaggio).

L’Avellino non verticalizza (ieri lo ha fatto sull’asse Gonzalez-Mokulu sfruttando una topica di Lisuzzo) e si rende prevedibile agli occhi dell’avversario. Anche a quelli del Pisa, avversario sì organizzato a livello difensivo, corto, compatto, ma non trascendentale. Eppure le sue occasioni le ha avute facendo tremare l’Avellino fino al quinto minuto di recupero.

Oltre al risultato, le note positive sono il carattere e la difesa. Il primo è un’ancora di salvataggio nei momenti delicati ed è sulla scorta della forza dei nervi che l’Avellino assesta i suoi colpi di coda. L’Avellino fonda le sue prestazioni sulla foga, sul temperamento ma non certo su un coerente piano di gioco. Anche la discreta solidità difensiva non è da sottovalutare perché, Ferrara a parte, nelle ultime sette partite i lupi hanno incassato soltanto un gol dal Novara (tiro deviato), uno dal Frosinone (rigore inesistente) e uno dal Carpi (su palla inattiva).

C’è davvero poco da salvare pertanto in queste quindici giornate, all’esito delle quali risulta davvero difficile immaginare che le cose possano cambiare rispetto al modo di proporsi in campo da parte dell’Avellino. Ben vengano le vittorie sofferte a patto che resti intatta almeno la propensione alla sofferenza e al sacrificio. Sarà un’annata con il coltello tra i denti.