Autonomia Differenziata e Pnrr, dubbi e rilievi della Corte dei Conti

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NAPOLI- “Nemmeno può essere minimamente pensabile che la soluzione dei problemi segnalati e degli squilibri territoriali possa venire da un’operazione
di “ingegneria istituzionale” qual è quella dell’autonomia differenziata, il cui disegno di legge è stato da poco approvato dal Consiglio dei Ministri”. E’ uno dei passaggi che il Presidente della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti della Campania, Michele Oricchio, ha dedicato al progetto di Autonomia Differenziata voluto dal Governo, rilevando come: “nella narrazione che ne fanno i sostenitori una maggiore autonomia delle regioni sarebbe e sarebbe in grado di migliorare l’efficienza di tutte le amministrazioni localitroverebbe fondamento nel c.d. “residuo fiscale”” . Per il magistrato, che ieri ha inaugurato ufficialmente l’ Anno Giudiziario della magistratura contabile: “Si tratta di affermazione destituita di fondamento in quanto il sistema fiscale italiano è espressione di una geografia che non coincide con la geografia economica del Paese: intere zone – in patente violazione dei principi sanciti dall’art.3 della Costituzione – sarebbero condannate a restare senza risorse a meno che non si provvederà a determinare maggiori
dotazioni finanziarie (ma con quali fondi?) per assicurare i livelli essenziali
delle prestazioni, non si comprende come si potrà sostenere il riequilibrio territoriale”. Una condizione descritta anche dalle ricerche e dai rilevamenti di istituti come l’Istat relativamente al Mezzogiorno: «Da oltre un ventennio – si legge nella ricerca Istat – il Pil pro capite nel Mezzogiorno si aggira intorno al 55-58% del Centro-Nord: nel 2021 il Pil reale pro-capite è di circa 18 mila euro contro i 33 mila nel Centro-Nord». Anche il livello di istruzione «conferma una grave arretratezza» anche se «migliora nelle giovani generazioni». Nel 2020, evidenzia l’Istituto, un terzo (32,8%) dei meridionali in età 25-49 anni (24,5% nel Centro-Nord) ha concluso al più la terza media. Differenze che si riverberano sul mondo del lavoro dove sono «fortemente penalizzati i giovani meridionali. Dal 2000 in poi si registrano abbastanza stabilmente circa 3 occupati ogni 10 in meno nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Tranne rare eccezioni, l’intero Mezzogiorno presenta tassi di occupazione giovanile molto inferiori alla media». Una condizione a cui fa da paio anche lo spopolamento delle aree interne:
” una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord (-5,7% e 1,5%)». La perdita di popolazione si
concentra soprattutto nelle fasce d’età più giovani nel Mezzogiorno, evidenzia l’Istat, aggiungendo che «ciò potrebbe determinare il venir meno della funzione di serbatoio di popolazione attiva, assolta nel tempo da queste Regioni a supporto delle aree più sviluppate del Paese. Inoltre, si
avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale».
In questo modo ci si spiega anche perché le province meridionali occupano stabilmente gli ultimi posti nella graduatoria sulla qualità della vita che il SOLE24ORE redige annualmente: nel 2022, ad esempio, Benevento è all’82 posto, Avellino all’84, Salerno, Napoli e Caserta
rispettivamente al 97,98 e 99″. E c’e’ un forte richiamo alla classe politica del Mezzogiorno: “Tale quadro a tinte sicuramente fosche richiama tutta la classe dirigente meridionale ad un’assunzione forte di responsabilità e di
iniziativa per allontanare il rischio che i flussi di spesa pubblica facilitata
dal P.N.R.R. e l’urgenza di utilizzare i relativi fondi possano favorire nuovi imbarazzanti sprechi consumati attraverso progetti ed azioni che non rispondono alle concrete esigenze locali, non tengono conto dei “costi di gestione” delle opere che, ove realizzate nei ridotti termini imposti, andranno spesso a pesare sui bilanci degli enti locali nel cui territorio ricadono senza effettivi miglioramenti sulla qualità della vita dei cittadini”.