Auto, tv, bici, viaggi, regali all’amante. Il contribuente avellinese: “E io pago…”

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Pasquale Manganiello – Monta l’indignazione degli avellinesi per lo scandalo che ha investito il Comune di Avellino e la società partecipata ACS. Sono emersi, infatti, il coinvolgimento di diversi alti funzionari comunali coinvolti nella gestione di cooperative e associazioni che vengono utilizzate come strumento di distrazione del denaro pubblico. In particolare, l’ACS gestisce diversi servizi d’utilità pubblica affidandoli senza alcuna procedura d’appalto e in totale disprezzo delle regole, a cooperative o associazioni gestite da soggetti pregiudicati, in cambio di un ingiustificato consenso popolare e un sostegno elettorale.

Inoltre, la gestione criminale della “società in house” permette agli amministratori di distrarre fondi pubblici per le proprie utilità e favorire “amici e/o parenti”. Fenomeni di peculato, corruzione, abuso d’ufficio, sono le responsabilità in capo a numerosi amministratori pubblici che, a vario titolo, sono coinvolti nella vicenda.

Una vicenda indegna che richiama ai tanti casi di peculato che hanno attraversato la cronaca italiana negli ultimi anni. La collezione di Diabolik, le mutande, i trucchi, i regali di Natale o quelli di matrimonio, fino al suv personale. La fantasia dei consiglieri o amminitratori che in tutta Italia sono finiti nel mirino dei magistrati non sembra avere limiti. Ed in questa classifica del tristemente comico è persino difficile trovare chi sia stato il più originale o sfacciato nelle spese private fatte con i soldi pubblici (con tanto di scontrino per il rimborso).

Nell’Aprile 2013 sotto accusa finirono un milione e 400 mila euro di rimborsi spese in Regione Piemonte: da borse di Hermés e Vuitton, gioielli di Cartier, regali di nozze, abiti di Olympic, dvd e tablet fino alle arcinote mutande verdi di Cota.

In Sardegna i soldi per i fondi ai gruppi consiliari sarebbero stati distribuiti con un “metodo paghetta”, circa 2500 euro al mese, e utilizzati per le spese più disparate, in alcuni casi personali: dai viaggi alle penne Montblanc, agli “spuntini” con le pecore alle bollette e ai sensori per le auto di famiglia. Finì sotto inchiesta l’esponente Pd ed ex sottosegretaria, Francesca Barracciu.

In Campania, nel 2013, la magistratura partenopea ha indagato per peculato sessanta consiglieri, quasi tutta l’assemblea. Contestate spese non giustificate per più di due milioni e mezzo di euro: tra questi gli immancabili pranzi, gioielli, regali ma, unico caso finora in Italia, persino la ricevuta del pagamento della tassa sui rifiuti, la Tarsu.

In Lombardia ormai tristemente famose le spese del figlio di Umberto Bossi, Renzo, detto il “Trota” e quelle di Nicole Minetti.

La madre di tutte le inchieste è però quella nel Lazio, con un nome su tutti: Francesco Fiorito, il capogruppo del Pdl in regione che in primo grado è stato già condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per essersi appropriato di 1 milione e 300 mila euro, spesi senza alcuna giustificazione (tra questi l’ormai celebre Suv).

Questi sono solo alcuni dei casi finiti in una mappa del malaffare che non si è fermata nemmeno davanti ai primi indagati ed arrestati, ma che adesso non risparmia nessuno.

Alle incursioni degli investigatori nel comune di Avellino, i soggetti coinvolti hanno reagito con “disincantato” stupore, come si deduce agevolmente da alcune intercettazioni telefoniche. L’atteggiamento sconcertante dei protagonisti della vicenda è confermato dal fatto che anche una volta emessi gli  avvisi di garanzia per i reati di corruzione- peculato e abuso d’ufficio, le loro condotte sono rimaste immutate, continuando gli indagati a svolgere le medesime attività illecite.

Un male, anzi, dati i numeri verrebbe da dire una “tradizione”, che non fa differenza né politica né geografica. E, considerando gli ultimi disdicevoli avvenimenti, Avellino non poteva non iscriversi a questa triste consuetudine.

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