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Aste Ok, il verdetto dei giudici: monopolio di un clan autonomo ad Avellino

AVELLINO- Duecentosettantaquattro pagine di motivazioni per descrivere la decisione di rimettere gli atti alla Procura Distrettuale Antimafia di Napoli relativamente all’accusa più grave, quella di associazione a delinquere aggravata dall’art.416 bis, le tre condanne e le otto assoluzioni lette in aula dal presidente Roberto Melone lo scorso ventisette aprile, il giorno del verdetto sul processo Aste Ok. I magistrati Roberto Melone e Gilda Zarrella (giudice estensore) hanno depositato nei termini la sentenza (come è noto il terzo componente del collegio, la dottoressa Vincenza Cozzino, e’ prematuramente scomparse nelle settimane scorse). Una sentenza che ora sia la Procura Distrettuale Antimafia di Napoli, il pm Henry Jhon Woodcock che i legali potranno impugnare in secondo grado. Dopo una lunga parentesi sulla scelta di trasmettere gli atti all’Antimafia per una nuova imputazione, i magistrati hanno ricostruito tutte le aste oggetto del processo andato avanti per due anni e mezzo.
I GIUDICI: IL CLAN DELLE ASTE ESISTE
MA ERA AUTONOMO DAL NUOVO CLAN PARTENIO
Come e’ noto, con separata ordinanza il Tribunale ha disposto lo scorso 27 aprile la restituzione degli atti al Pm ai sensi dell’art.521, co.1 c.p.p. in relazione alle posizioni di Genovese Damiano
Forte Livia, Aprile Armando Pompeo, Pagano Beniamino, Formisano Gianluca e Barone Antonio per il reato loro ascritto al capo A) dell’originaria imputazione, ovvero l’associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta nell’ambito del Nuovo Clan Partenio, per una diversità di ipotesi rispetto al capo di imputazione. Nella sentenza depositata dai giudici del Tribunale collegiale di Avellino viene ampiamente richiamata l’ordinanza (oggetto anche di impugnazione da parte della Dda di Napoli per “abnormita’” rigettato per inammissibilità dalla Cassazione) ed in particolare: E hanno aggiunto: “Nel dibattimento svolto risulta ampiamente provata l’esistenza di un’autonoma associazione di stampo camorristico costituita dal gruppo riconducibile al Galdieri Nicola e dal gruppo criminale noto come “i Tretrè”. Risulta dimostrato che Forte Livia, Forte Modestino ed Aprile Armando Pompeo hanno negli anni creato un monopolio criminale nel settore delle aste, affermatosi attraverso atteggiamenti
spregiudicati e condotte delittuose. Prima ancora del patto criminale stipulato con Galdieri Nicola, costoro erano noti e temuti, tanto che riuscivano (come appare chiaro da tutta l’attività di intercettazione svolta) ad incutere timore a tutti gli esecutati, nelle procedure di esecuzione
immobiliare,di fatto costringendoli a versare loro del denaro con la promessa della protezione nell’aggiudicazione delle aste (protezione che Si estrinsecava nel fare andare I’asta deserta elo rinunciare alla loro decisiva partecipazione).
In altri termini, approfittando ella loro reputazione di “delinquenti’, conosciuti da tutti come “i Tretrè” (si vedano le dichiarazioni rese dai testi escussi nel corso dell’istruttoria, tra loro collimanti quanto alla fama criminale dei Tretrè sul territorio di Avellino) e del connesso timore
degli esecutati, che con loro si sarebbero dovuti confrontare nelle aste, li costringevano a versare somme non dovute, procurandosi il tipico profitto ingiusto inquinando fortemente le relative
procedure giudiziarie, ponendo in essere estorsioni e turbative d’asta”. Ed hanno aggiunto: I dati processuali acquisiti al termine del dibattimento – scrivono i giudici- hanno restituito, con granitica certezza, la prova dell’esistenza di un sodalizio di natura camorristica caratterizzato dalla compartecipazione criminale di Galdieri Nicola, Dello Russo Carlo, Genovese Damiano, Forte Livia (e il di lei fratello, la cui posizione è stata definita con sentenza in data 17.01.2024), Aprile Armando Pompeo e Pagano Beniamino. Incontestabile la condotta di promotore ed organizzatore riconducibile, tra altri, al Galdieri Nicola ed al Dello Russo Carlo. Trattasi di sodalizio criminoso del tutto distinto da quello contestato al capo A) che,.incredibilmente, non vede tra gli imputati Galdieri Nicola e Dello Russo Carlo. L’associazione criminale in parola ha operato con le modalità tipiche delineate dall’art.416bis c.p. e non è possibile alcuna lettura alternativa degli atti processuali, data, in particolare modo,
la schiacciante valenza dimostrativa delle intercettazioni, telefoniche ed ambientali, acquisite nel processo, di per sé già altamente rivelatrice dell’allarmante offensività dei fatti di causa, ma pure,
altresì, riscontrata dalle prove dichiarative raccolte in giudizio. Per come si dirà di qui a breve, la forza di intimidazione espressa dai sodali si è proietta all’esterno verso la comunità irpina, con pervasività segnata da assolutezza ed impossibilità di
alcuna reazione da parte dei consociati, destinatari dell’agere criminoso, arrivando ad ottenere completa soggezione ed omertà da parte di quanti venivano avvicinati -dai Tretrè ovvero da Dello
Russo Carlo su mandato di Galdieri Nicola – per realizzare il programma delittuoso perseguito”..
LE CONDANNE E LE ASSOLUZIONI
Le condanne emesse il 27 aprile scorso riguardano Barbati Emanuele colpevole dei reati a lui ascritti di concorso in turbata liberta’ degli incanti e tentata estorsione avvenuta nel dicembre 2018, esclusa I’aggravante dell aver commesso i fatti avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. e riuniti i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Era stato anche interdetto dai pubblici uffici per la durata per cinque anni. Barbati Emanuele era stato condannato anche al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili. Aprile Armando Pompeo colpevole del reato a lui ascritto al capo Q dell’imputazione e lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. La vicenda è quella relativa ad una contestazione di falso per aver alterato una perizia nell’ambito di una procedura nel settembre del 2019 sostituendo quanto il Ctu aveva riferito in ordine ad abusi insanabili con una nuova parte, usata per ottenere un mutuo dalla Banca, in cui erano scomparse le presunte difformità tra la concessione edilizia e le opere realizzate. Ovvero quanto segnalato dal ctu si era trasformato in una perfetta conformità delle opere. L’altra condanna emessa dal Tribunale collegiale di Avellino riguarda Giaccio Raffaele colpevole del reato di trasferimento fraudolento di valori. La condanna alla pena di anni due di reclusione, con pena sospesa. Il Tribunale aveva invece mandato assolto
Flammia Antonio “per non aver commesso
il fatto” relativamente alla presunta turbativa d’asta per una villetta di Avellino dove Livia Forte avrebbe fatto in modo che l’immobile venisse acquistato dal nipote.
Gisolfi Mario, ai sensi dell’art. 530, comma 2 dai reati di turbativa d’asta e tentata estorsione , quella ai coniugi Montone D’Amato “perché il fatto non sussiste” . e dal reato di minacce “per non non aver commesso il fatto”. Assolto anche
Di Benedetto Manlio dai reati di turbativa d’asta ed estorsione nei confronti di una coppia di esecutati a cui avrebbe garantito di far andare deserta l’ asta in caso di pagamento di mille euro. Becchimanzi Ermelinda e Gasparro Maria Luigia dal reato a loro ascritto di riciclaggio: per non aver commesso il fatto. Infine Guerra Mario e Di Costanzo Giuseppe dal reato di turbativa d’asta in concorso con Aprile Armando, Antonio Barone e Gianluca Formisano per non aver commesso il fatto. Infine assoluzione per Ciccone Antonio dall’accusa di tentata estorsione alla proprietaria della villetta bifamiliare acquistata da Flammia Antonio. Al termine dell’asta del settembre 2019 era nata una lite davanti ad un Bar di fronte al Tribunale.
LE DEPOSIZIONI DEI CARABINIERI IN AULA: ARTICOLATE E APPROFONDITE
Un paragrafo della sentenza e’ dedicato alle dichiarazioni rese in aula dai testi di Polizia Giudiziaria, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino, che sono state ritenute dai giudici “articolate ed approfondite”. Si fa riferimento in particolare alle testimonianze rese nel dibattimento dai testi di Polizia
Giudiziaria, in particolare del Maresciallo Maggiore Petruzzo Francesco e del Lupgotenente Giordano Francesco
in servizio presso il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Avellino. Si legge nella sentenza: “I testi Petruzzo Giordano sono stati esaminati ai sensi dell’art.197 bis c.p. in qualità di indagati in procedimento connesso (procedimento iscritto al n.5734/22 RGNR per i reati di cui agliartt.479, 319, 610, 323 c.p., definito con provvedimento di archiviazione emesso dal Gip del.Tribunale di Avellino in data 28/6/2023, cfr. richiesta di archiviazione ed ordinanza di archiviazione depositati ed acquisiti.all’udienza del 12.7.2023) hanno reso dichiarazioni lineari prive di incongruenze, dotate di elevato grado di attendibilità non solo per la qualifica dagli stessi rivestita, ma per il fatto che i contenuti delle lorodichiarazioni si sono rivelati particolarmente coerenti
trattandosi di dichiarazioni che si sono tra loro reciprocamente riscontrate ai sensi dell’art.197 bis C.p.p”.Sul rilievo difensivo (di volta in volta sollevato nel corso delle lunghe eposizioni dibattimentali) che i testi Ufficiali di Polizia Giudiziaria non potessero riferire sul contenuto delle intercettazioni o comunque che potessero farlo soltanto in maniera estremamente sintetica, dovendosi invece attingere probatoriamente alle risultanze della perizia trascrittiva, ritiene il Tribunale che e’
consentito in sede di audizione che i testi rifcriscano sugli esiti delle captazioni, anche mediante riferimento testuale di parti di frasi, al fine di illustrare gli sviluppi investigativi connessi a tale attività,
con la precisazione che, a a fini probatori, ciò che viene utilizzato è esclusivamente il contenuto della perizia trascrittiva”. Aggiungendo anche che: “Va, quindi, affermato che è ammissibile la deposizione dell’investigatore nella quale si faccia riferimento al contenuto di intercettazioni al solo scopo di spiegare il senso e lo sviluppo complessivo
delle investigazioni, secondo l’interprctazione ad esso attribuita dalla polizia giudiziaria operante avvalendosi della sommaria trascrizione dei colloqui riportata nei brogliacci e nell’informativa
Il riferimento, anche letterale (fondato sulle trascrizioni di p.g.), nella deposizione al contenuto di captazioni consente di ricollegare, nella narrazione del teste di p.g. i vari passaggi storici dell’attività investigativa, di forire tutte le notizie necessarie per rendere comprensibile tale ultima e consentirne una corretta valutazione”.
ACCUSE A GUERRA E DI COSTANZO, I GIUDICI: FORTE NON E’ ATTENDIBILE
I giudici del Tribunale Collegiale di Avellino hanno assolto i due “napoletani” indagati a seguito delle dichiarazioni rese da Livia Forte, che è stata ritenuta inattendibile. La vicenda e’ quella dell’asta di Piazza Macello: “Livia Forte ha reso interrogatorio, dopo l’arresto, durante la fase delle indagini preliminari tre volte. Nel corso dell’interrogatorio reso in data 22.12.2020 (acquisito all’udienza dibattimentale del
31.1.24), la stessa dichiarava, tra l’altro, che Barone Antonio, Formisano Gianluca ed Aprile Armando Pompeo avevano partecipato ad un’asta, svoltasi tra il 2018 e il 2019, presso il Tribunale di Avellino,
relativa ad un immobile ubicato in “Piazza Macello” di A vellino. La donna aggiungeva che nel corso della procedura d’asta (mai riferendosi alla mattinata del 22.3.19), Formisano Gianluca, Barone Antonio e Aprile Armando si avvicinavano a delle persone “di Napoli” , “facendosi dare” la somma di 10.000,00 euro per non farli partecipare all’asta, garantendogli cosi ‘aggiudicazione dell’appartamento”. A tale riguardo i giudici del Tribunale di Avellino hanno evidenziato come: “Livia Forte modifica le iniziali dichiarazioni, già riscontrate negativamente,senza riscontri concreti, e l’unico riscontro che porta, per quanto circolare ( se stessa che fa cadere l’accusa) . Dunque senz’altro carente è il profilo dell’ attendibilità intrinseca ed estrinseca della chiamata di correo operata dalla Forte (data l’assenza dei parametri valutativi rappresentati dalla spontaneità, dalla verosimiglianza, dalla precisione, dalla completezza nella narrazione cc.) a cui si giustappone la completa assenza di riscontri esterni. La testimonianza della Forte è generica, errata, estemporanea, non riscontrata, sfornita di riferimenti fattuali precisi e non conciliabili con i fatti di cui all’imputazione e con gli imputati Guerra e Di Costanzo, con la conseguenza che la generale inattendibilità della Forte può comportare, in assenza di riscontri esterni natura diversa e salva la valutazione del caso concreto in presenza di situazioni peculiari, un giudizio di insufficienza della prova. Secondo la stessa ricostruzione e prospettazione accusatoria emersa in dibattimento il Guerra e il Di Costanzo non hanno mai avuto rapporti con il territorio di Avellino, né è emerso dall’istruttoria dibattimentale alcun rapporto collegamento con nessuno degli imputati. Il presente dibattimento ha accertato il contesto associativo di stampo camorristico incentrato sul controllo delle procedure esecutive immobiliari presso il Tribunale di Avellino e non vi e nessun elemento né indiziario, nè di fatto, né di prova, né di qualsiasi tipo che riconduca Guerra Mario e Di Costanzo Giuseppe ad una ben che minima vicinanza e/o rapporto, di qualsiasi natura con nessuno dei soggetti imputati nel procedimento de quo. Unico dato certo che il Di Costanzo Giuseppe e il Guerra Mario hanno partecipato unicamente alla procedura esecutiva……effettuando un unico rilancio e si aggiudicavano lealmente l’immobile”.

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