Aste Ok, il giorno della decisione sul ricorso dell’Antimafia contro le scarcerazioni

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ROMA – Settantacinque giorni dopo il verdetto dei giudici del Tribunale di Avellino nel processo Aste Ok, ovvero l’ordinanza letta in aula dal presidente Roberto Melone sarà la Corte di Cassazione, precisamente la VI Sezione Penale, con un’udienza non partecipata (ovvero camerale in cui saranno valutate le memorie delle parti) a decidere se quella emessa dal Tribunale di Avellino sia stata o meno una decisione nella norma. Il Tribunale di fatto deciso la regressione del processo alla fase preliminare, visto che diversamente dal capo di imputazione contestato dalla Dda di Napoli nella richiesta di rinvio a giudizio, il gruppo che si occupava di turbare le aste per conto del Nuovo Clan Partenio era invece un clan autonomo con una gerarchia diversa da quella di Pasquale Galdieri, detto o milord. Una decisione che aveva determinato la scarcerazione degli otto imputati (regrediti di nuovo ad indagati) Aprile Armando, Livia Forte, Nicola Galdieri, Beniamino Pagano, Carlo Dello Russo, Antonio Barone e Gianluca Formisano, tutti scarcerati per effetto della decisione adottata dal Tribunale di Avellino all’esito di una lunghissima camera di consiglio e di un processo durato due anni e mezzo. Per Nicola Galdieri e Carlo Dello Russo la custodia in carcere era rimasta per effetto della condanna nel processo al Nuovo Clan Partenio. Nell’impugnazione del provvedimento e’ stato impegnato un intero ufficio di Procura, oltre ai pm Henry Jhon Woodcock e Simona Rossi, l’atto e’ stato firmato anche al Procuratore Nicola Gratteri e dal Procuratore Aggiunto Sergio Ferrigno e il sostituto procuratore dell’Area I Rosa Volpe.

IL RICORSO DELL’ANTIMAFIA

Per la Procura Antimafia di Napoli: “Ebbene, nel caso in esame, si ritiene che il provvedimento in questione risulti affetto da “abnormità strutturale’, e ancor più specificamente che sia stato adottato per utilizzare l’`espressione utilizzata dalla Suprema Corte – in “carenza di potere in concreto”, nel senso che tale provvedimento tuttavia adottato esercitando tale potere al _ di là di ogni ragionevole limite, risultando, dunque, espressione. in concreto. di uno sviamento della funzione giurisdizionale attribuita dal sistema all’atto in questione e non più rispondente al modello previsto dalla legge (Cass.,sez. V, 4 maggio 2020, n. 15691; Cass. pen., SS. UU. 5 ottobre2022 (ud. 28 aprile 2022), n. 37502 Pres. Cassano, Est.)”. Nel ricorso viene anche rilevato come: “come si è detto viene in rilievo una evidente  “abnormità strutturale`, nel senso che il suddetto Collegio Giudicante ha letteralmente “contrabbandato’, con l’etichetta formale di un’ordinanza adottata ex art. 521, 2 comma c.p.p., la motivazione di una vera e propria sentenza di condanna, oltrepassando, dunque, ogni plausibile, consentito e ragionevole limite rispetto alla motivazione che avrebbe dovuto porre a supporto di una ordinanza con la quale ha provveduto a trasmettere gli atti al pubblico ministero ex art. 521,2 comma c.p.p. Invero, leggendo 1’ordinanza in questione, si rileva – immediatamente e ictu oculi e/ contenuto della stessa risulti caratterizzato da un assoluta distonia rispetto alla sua come etichetta formale, e dunque adottato al di fuori delle regole e delle cadenze del sistema processuale(in tal senso si può dire come lo stesso sia stato adottato addirittura in carenza di potere in astratto); insomma un atto che non può non colpire per la sua assoluta “anomalia” rispetto alla ratio legis e alla funzione attribuita dall’ordinamento processuale alla statuizione di cui al secondo comma dell’art. 521 cp.p”. Mettendo in evidenza tra l’altro come: “a ulteriore fondamentale ragione da cui discende la palese abnormità del provvedimento in questione in quanto adottato (per utilizzare l’espressione utilizzata dalla Suprema Corte) al di là di ogni ragionevole limite” Il Tribunale di Avellino, adottando la più volte richiamata ordinanza, ha contravvenuto e violato macroscopicamente il principio sancito dalla stessa Suprema Corte (anche a Sezioni Unite) secondo il quale, nel percorso processuale, la soluzione restitutoria. che inevitabilmente comporta la regressione del procedimento, deve essere relegata _ad evenienza marginale ed eccezionale, _ prefigurandosi come extrema ratio: in altri termini, nel caso di specic, il Tribunale di Avellino, anziché disporre la restituzione degli atti (come si è detto dopo due anni e mezzo di dibattimento celebrato a carico di imputati detenuti settantanove udienze), avrebbe dovuto invitare il pubblico ministero a modificare il capo di imputazione, ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., evitando una regressione del procedimento che costituisce un inutile ed inaccettabile aggravio, principio questo che, peraltro, risponde al principio fondamentale della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 C e che è volto ad evitare regressioni superflue (sul punto cfr Corte Cass., 2 sezione penale, sent. n. 1210/2019 del 28/06/20192); ebbene, è di tutta evidenza come nel caso in esame, proprio alla luce del richiamato principio costituzionale della ragionevole durata del processo, venga in rilievo un caso di scuola di abnormità, venendo, appunto, in rilievo una indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica del processo (sul punto cfr Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238240, ed ancora Corte Cass., 3 sezione penale sent. n.2514 del 10.10.2018, Corte Cass., 2 sezione penale, sent. n. 1210/2019 del 28/06/2019 e numerose altre), alterazione dell’ordinata sequenza logico-cronologica del processo che, nel caso di specie, assume connotazioni davvero macroscopiche se si pensa che gli avvisi di conclusione delle indagini sono stati emessi in data 15.3.2021, 16.3.2021 e 20.4.2021, che la richiesta di rinvio a giudizio O-stata inoltrata in data 24.5.2021, che il decreto che dispone il giudizio e stato emesso in data14.9.2021, e che il dibattimento in questione è durato due anni e sei mesi con la celebrazione di settantanove udienze in videoconferenza a carico di imputati detenuti”.