AVELLINO- L’ordinanza di remissione degli atti alla Procura Distrettuale Antimafia nel processo denominato Aste Ok non e’ abnorme e si colloca in pieno nel sistema processuale senza provocare “stasi irrimediabili” per il procedimento. E’ cosi’ che i giudici della Sesta Sezione Penale hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Dda contro la decisione del collegio presieduto dal giudice Roberto Melone, che aveva avuto come prima conseguenza anche la scarcerazione degli imputati accusati di far parte di una associazione a delinquere come intranei e con ruoli diversi e come concorrenti esterni. Una motivazione tecnica e non entrata assolutamente nel merito, quella depositata dai magistrati della Suprema Corte. Chi si attendeva anche una bocciatura nel merito sarà rimasto sicuramente deluso.
IL FATTO
Il Tribunale di Avellino con ordinanza del 27 aprile 2024, adottata nel corso del giudizio di primo grado nei confronti degli imputati a cui veniva contestata la violazione dell’art. 416 bis cod. proc. pen. e altri reati aveva disposto ai sensi dell’art. 521, comma 2, del Codice di Procedura Penale la restituzione degli atti all’Antimafia per la diversità dei fatti risultati all’esito del dibattimento rispetto a quelli contestati, dichiarando la cessazione delle misure cautelari personali a carico degli imputati e di quelle reali in corso di applicazione (per le quali e’ scattato il sequestro bis da parte della Dda di Napoli) . Contro l’ ordinanza il Procuratore della Repubblica Distrettuale di Napoli aveva proposto ricorso sostenendo l’abnormità del provvedimento del Tribunale di Avellino. Come e’ noto il ricorso era stato firmato dallo stesso Procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri, oltre che dall’Aggiunto Sergio Ferrigno e dai sostituti Henry Jhon Woodcock e Simona Rossi. Qualche giorno fa la circostanza e’ stata ricordata ai nostri microfoni dallo stesso Procuratore Gratteri in visita a San Andrea di Conza per presentare il suo ultimo libro “Il Grifone”. Il Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, aveva chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso. All’attenzione dei magistrati della Sesta Sezione Penale erano state anche depositate le memorie dei difensori di Aprile Armando Pompeo, l’avvocato Alberico Villani, di Barone Antonio, l’avvocato Claudio Botti, di Dello Russo Carlo e Pagano Beniamino, l’avvocato Gaetano Aufiero, di Forte Livia, gli avvocati Alfonso Furgiuele e Roberto Saccomanno, che avevano tutti chiesto che il ricorso della Procura Antimafia di Napoli venisse dichiarato inammissibile.
Cosa aveva sostenuto il Tribunale nell’ordinanza di remissione degli atti alla Dda e cosa invece contestasse la Procura Antimafia e’ agli atti dell’impugnazione in Cassazione.
L’ORDINANZA DEL TRIBUNALE
il Tribunale di Avellino ha disposto la
restituzione degli atti al Pubblico ministero
rilevando che, all’esito del dibattimento, il fatto era risultato diverso da quello contestato. Si legge nella motivazione della stessa ordinanza del collegio presieduto dal giudice Roberto Melone “i dati processuali acquisiti all’esito del
dibattimento hanno restituito, con granitica certezza, la prova dell’esistenza di
un sodalizio di natura camorristica caratterizzato dalla compartecipazione
criminale di Galdieri Nicola, Dello Russo Carlo, Genovese Damiano, Forte Livia
(e il di lei fratello, la cui posizione è stata definita con sentenza in data
17.01.2024), Aprile Armando Pompeo e Pagano Beniamino. Incontestabile è la
condotta di promotore e organizzatore riconducibile, tra gli altri, al Galdieri
quello contestato al capo A) che, incredibilmente, non vede tra gli imputati
Nicola e al Dello Russo Carlo. Trattasi di sodalizio criminoso del tutto diverso da
Galdieri Nicola e Dello Russo Carlo”.
Invece per i reati fine di turbativa d’asta ed estorsione, contestati nei diversi capi di imputazione,.come rispettivamente ascritti ai diversi imputati, “ritiene il Collegio che gli stessi costituiscano programma
criminoso dell’associazione di stampo camorristico provata nel presente
dibattimento, riconducibile al descritto sodalizio, ragione per la quale anche in
merito a tali contestazioni deve disporsi la restituzione degli atti, attenendo gli
stessi ad un fatto associativo diverso da quello contestato al capo A)”.
IL RICORSO DELLA DDA DI NAPOLI
Per l’Antimafia l’ordinanza “pur costituendo estrinsecazione di un potere previstodall’ordinamento, è stata tuttavia adottata esercitando tale potere al di là di
ogni ragionevole limite risultando, dunque, espressione, in concreto, di uno
sviamento della funzione giurisdizionale attribuita dal sistema all’atto in
questione e non più rispondente al modello previsto dalla legge”, e ciờ in quanto”il Collegio Giudicante ha letteralmente contrabbandato, con l’etichetta formale di un’ordinanza adottata ex art. 521, comma c.p.p., la motivazione di unavera e propria sentenza di condanna, oltrepassando, dunque, ogni plausibile consentito e ragionevole limite alla motivazione che avrebbe dovuto porre
supporto di una ordinanza con la quale ha provveduto a trasmettere gli atti al
pubblico ministero: “Secondo il ricorrente sarebbe, altresì, violato il principio in base al quale la restituzione degli atti ex art. 521 cod. proc. pen. rappresenta una extrema ratio in quanto si tratta di provvedimento che potrebbe vulnerare il principio della ragionevole durata del processo, mentre, più ragionevolmente il Tribunale avrebbe potuto rivolgere al PM I’invito a modificare l’imputazione ex art. 516 cod. proc. pen”.
LA CASSAZIONE
I giudici della Sesta Sezione, rifacendosi alle conclusioni del sostituto procuratore generale hanno dichiarato inammissibile il ricorso perche’ : “la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che
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