Tra meno di una settimana comincerà il nuovo anno scolastico e il vescovo di Ariano Irpin, Mons. Sergio Melillo, ha scritto una lettera agli studenti.
“Cari ragazzi,
quelli della mia generazione ricordano bene dall’esperienza del terremoto che ha segnato la nostra terra – cosa significa dover lasciare la casa in fretta,
prendendo meno del necessario dz e, poi ritornarci, magari giorni, settimane, mesi dopo. Rientrare lentamente, con preoccupazione, riappropriandosi con lo sguardo degli spazi, dei luoghi, degli oggetti che stanno ancora lì dove e come li avevamo lasciati, a ricordarci cosa stavamo facendo quando in un istante era accaduto l’impensabile.
Voi, cari ragazzi, non avete per fortuna ricordi come questi, come li
abbiamo noi, i vostri genitori e i vostri nonni. Ma forse, oggi, al rientro a scuola, vivete qualcosa di simile. Anche voi avete dovuto abbandonare il vostro banco, le aule, all’improvviso – lasciando lì quello che stavate facendo – qualche libro o quaderno. E oggi che ci rientrate – con un’emozione che lentamente vi fa risentire a vostro agio – vi guardate intorno, ricordate quello che stavate facendo, forse con un po’ di diffidenza, ma dura poco: basterà alzare lo sguardo per incrociare quello dei vostri compagni, degli amici, e – «casa!» – eccovi di nuovo qui, al sicuro.
Certo, sarà un primo giorno di scuola senza il compagno di banco, che
forse è la cosa più bella. Ma, se ci pensate, anche questo «di meno» in realtà
può mutarsi in un di più.
Non c’è più il compagno di banco e io, non ho più neanche un gruppo: non ci sono più schieramenti. Questa non è più l’epoca degli schieramenti, l’epoca di scegliersi il compagno di banco, l’epoca di «speriamo che non mi capita quello sfigato»: ora si è fighi o si è sfigati tutti insieme.
Quel metro che c’è tra un banco e un altro non mi isola: piuttosto, ciȱ
rende tutti egualmente vicini. Perché è questa la sfida che vi aspetta e che, in realtà, aspetta tutti noi. La pandemia non ci ha reso migliori: la cronaca più recente, anche di questi giorni, smentisce questa ingenua speranza. Quello che invece la pandemia ha fatto è stato mostrarci, quasi con la violenza di uno schiaffo, che siamo tutti uguali, tutti ugualmente fragili, tutti sulla stessa barca. Con parole di adulti, che vorrei imparaste, ciȱ ha svelato che siamo un’unica comunità di destino e solo se partiamo da qui che la pandemia potrà renderci migliori”.