Anniversario sisma Irpinia, l’annuncio: “Nasce la Carta delle Ricostruzioni”

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“Negli ultimi 500 anni abbiamo avuto in Italia 88 terremoti distruttivi. Il 70% della sismicità che conosciamo si concentra nell’Appennino. Dall’Unità d’Italia i disastri sono stati ben 36. La cultura del rischio è una meta ancora lontana. Dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, furono avviati estesi studi in diversi settori disciplinari quali la storia, geologia, sismologia e ingegneria, che hanno segnato un’importante stagione di ricerca e raggiunto rilevanti risultati. Fra questi, lo studio di terremoti della millenaria storia italiana ha messo in evidenza i caratteri sismici del Paese e gli elementi che ancora oggi concorrono a fare dei forti terremoti un nodo cruciale: alta vulnerabilità dell’edificato, alta frequenza delle distruzioni e scarsa qualità delle ricostruzioni storiche. Queste conoscenze non si sono tradotte in una cultura del rischio: infatti oggi non c’è quasi domanda di sicurezza abitativa da parte della popolazione, anche nelle aree a maggior rischio sismico”. Lo ha dichiarato Emanuela Guidoboni sismologa dell’INGV, intervenendo alla Video – Conferenza  “Irpinia 1980 – 2020: rischio sismico e resilienza in un Paese fragile”, organizzata da Società Italiana Geologia Ambientale e RemTech.

“E’ una situazione anomala per un Paese sismico industrializzato. A questo ritardo non sono estranee le sedi per eccellenza della formazione, Università e scuola, che riguardo ai rischi naturali non hanno assunto un ruolo attivo nel diffondere informazioni sulle cause naturali e antropiche dei disastri e sulla rilevanza dei loro effetti nella storia economica e sociale del Paese. I mass media, da parte loro, continuano a trattare i rischi naturali – ha proseguito Guidoboni –  e persino i disastri sismici, come meri fatti di cronaca e come tali sono poi dimenticati. Disinformazione, fatalismo e mancate politiche adeguate alla situazione ci portano a rincorre ancora, come cento anni fa, le distruzioni sismiche, invece di limitare i danni con un piano nazionale di prevenzione, chiaro e condiviso nei costi, nei modi e in un orizzonte temporale credibile.  I prossimi forti terremoti saranno ancora disastri, come quelli già accaduti”.

E poi l’annuncio fatto proprio in occasione del quarantesimo anniversario del Terremoto dell’Irpinia: RemTech e Casa Italia lavorano alla Carta delle Ricostruzioni dei terremoti italiani.

“Assieme al Capo Dipartimento di Casa Italia, Fabrizio Curcio – ha annunciato Silvia Paparella, General Manager di RemTech –stiamo lavorando alla Carta delle Ricostruzioni di cui faranno parte i Commissari per la ricostruzione e gli esperti coinvolti a diverso titolo nelle varie ricostruzioni post – sisma. La Carta affronterà diversi aspetti del processo di una ricostruzione: Governance; Normativa, Procedimenti; Politiche urbanistiche; Personale impegnato; Tecnologie utilizzabili; Flussi finanziari; Comunicazione, ma anche tanti altri temi che rendono i processi di ricostruzione attività non solo infrastrutturali ma anche e soprattutto connessi con la rinascita delle comunità colpite. Si tratta di un tema per il quale la conoscenza e l’esperienza del Geologo è evidentemente fondamentale. Dunque un percorso sfidante ma riteniamo anche indispensabile, che vedrà tracciare una rotta, nuova per certi aspetti, innovativa, coraggiosa, necessaria, concreta e giustamente di visione. La ricostruzione parte nel presente e traguarda un futuro in cui i territori ripartono e in cui i cittadini non solo rientrano a casa ma si riappropriano della propria vita”.

RemTech è l’unico evento internazionale dedicato al Rischio Sismico ed in programma ogni anno in Italia, la cui prossima edizione si svolgerà a Ferrara nel Settembre del 2021.

Alcune delle opere non erano in relazione al sisma dell’Irpinia.

“L’opera di infrastrutturazione della Basilicata avvenuta in quegli anni convinse la Fiat di Cesare Romiti a preparare gli investimenti nel polo automobilistico di Melfi. All’epoca l’On. Cirino Pomicino, che era ministro del Bilancio, stipulò con la Fiat un contratto di programma di ben 3 mila miliardi di lire per l’insediamento di Melfi, più un altro contratto di programma per l’indotto delle piccole e medie imprese. Anche in quell’occasione il consenso delle forze politiche e sociali fu altissimo. Due realizzazioni, il centro direzionale di Napoli e il polo Fiat di Melfi, che nulla avevano a che fare con il sisma del novembre del 1980, erano, comunque, figlie di quella cultura di governo sorta proprio in seguito al terribile terremoto – ha dichiarato Gaetano Fierro, già sindaco di Potenza –  e che aveva fatto propri gli obiettivi di sviluppo economico e di ammodernamento urbano di quelle regioni. Insomma due benefici effetti a distanza di quella saggia decisione assunta dalla D.C. e dal P.C.I., oltre che dalle altre forze politiche minori, all’indomani di quella immane catastrofe.

Negli anni che seguirono ebbi modo di seguire da vicino, nella mia veste di sindaco della città di Potenza, l’intero processo messo in moto dalla legge 219/81 che, però, divenne operativa nel 1984. Negli anni precedenti alla sua entrata in vigore, il Governo nazionale operò con l’ordinanza 80, al fine di agevolare il recupero delle abitazioni leggermente danneggiate. In quegli anni ho visto l’impegno fattivo e concreto delle classi dirigenti locali e dei dirigenti nazionali dei partiti eletti in quelle zone, che diedero vita ad una specie di partito trasversale del terremoto, ma ho visto anche crescere l’astio e la contrapposizione politica nei confronti dei risultati che si stavano ottenendo in tema di infrastrutturazione del territorio e di sviluppo industriale. Purtroppo, alla fine degli anni ‘80 il clima cambiò per questa campagna di odio sostenuta, ironia della sorte, dal giornale di Montanelli e da la Repubblica. Incertezze politiche e pressioni scandalistiche della stampa dettero vita a quella “Commissione Scalfaro”, che fu la culla dell’odio e del livore e che esplose poi con i fatti del ’92-’93 con l’Irpiniagate.

Con l’intervento ordinario e straordinario dello Stato furono costruiti migliaia di abitazioni, edifici scolastici di ogni ordine e grado, strade e centri sociali, come pure impianti sportivi e centri sanitari.  Un discorso a parte merita l’istituzione della Università degli Studi di Basilicata che rappresenta, senza enfasi e retorica, una conquista sociale di notevole spessore, agognata da decenni dalle generazioni lucane. Relativamente alle disfunzioni nel settore industriale va sottolineato che la politica centrale non è stata all’altezza del compito, nel senso che da Roma vennero quattro o cinque imprese che si divisero la grande torta delle infrastrutture; sempre Roma, poi, deliberatamente escluse le imprese della Basilicata e dell’Irpinia, nonostante un’ordinanza dell’allora ministro Scotti avesse sancito che il cinquanta per cento degli appalti doveva essere destinato alle imprese locali. Le suddette imprese “romane”, ottenuta la concessione al mega-appalto, altro non fecero che cedere i lavori in sub-appalto, questa volta alle imprese di Basilicata e dell’Irpinia, con ribassi fino al 50 per cento. Un affare di proporzioni immense, peraltro “registrato” dalla Commissione Scalfaro. Ma i lucani, e lo ribadiamo con rabbia e dolore, non parteciparono affatto a quella mega-ripartizione. I lucani non hanno gestito nulla, tutto è stato calato dall’alto. Gli imprenditori hanno protestato, denunciato le degenerazioni dei subappalti ma nessuno li ha ascoltati.

C’è stata sicuramente sproporzione tra i finanziamenti pubblici elargiti e i risultati pratici ottenuti in termini di occupazione e produzione, ma se sprechi e scelte discutibili ci sono stati, Roma, centro della politica, ne è stata consapevole, sempre. Gli atti posti in essere sono dipesi da una legislazione di 25 anni che li ha consentiti.

Allora? Speranze tradite? Una ricostruzione che ha fatto più male che bene?

Poco onesto affermarlo.

Furono stanziati 52 mila miliardi di lire, di cui circa due quinti vennero utilizzati per realizzare i ventimila alloggi di Napoli (dando sollievo ad una penuria abitativa universalmente riconosciuta) e tre quinti per la ricostruzione abitativa nell’intera area della Campania e della Basilicata. Poiché era supposizione comune che l’Irpinia avrebbe ottenuto 64.000 miliardi di lire, l’inchiesta ebbe modo di chiarire ciò: la provincia di Avellino, infatti, ebbe solo 6.549 miliardi. Per gli insediamenti produttivi nelle aree di Avellino, Salerno e Potenza furono stanziati ottomila miliardi di lire. Tutto questo, fortunatamente, è storia passata anche se ha lasciato tante ombre sulla credibilità di una classe dirigente messa alla gogna e strumentalizzata dai giochi nazionali, fatti sulla pelle dei cittadini meridionali”.