Anatra zoppa, le motivazioni del Tar: non ci sono schede contestate, il ricorso è inammissibile

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Marco Imbimbo – “Non risultano schede contestate” nei verbali delle 42 sezioni su 72 elencate da Vincenzo Ciampi e altri candidati del M5S in cui sarebbero state compiute delle illegittimità a danno proprio dei pentastellati, durante le operazioni di scrutinio al primo turno. Voti andati a Pizza e alla sua coalizione, secondo i 5 Stelle ma che in realtà spettavano proprio ai pentastellati, sempre secondo ciò che dichiarano i firmatari del ricorso al Tar: Vincenzo Ciampi, Arnaldo Fabio D’Alessandro, Lorenzo Ridente, Rita Sciscio, Cinzia Zeccardo, Mara Fiore, Carmela Carullo, Francesco Corbo, Stefania Guarino, Ferdinando Picariello, Maria Antonietta Gimelli, Jean Pierina D’Argenio, Donatella Buglione, Alessandro D’Archi, Gianluca Forgione e Vincenzo Spagnuolo.

Dai verbali delle 42 sezioni, però, non emerge alcuna prova a sostegno delle tesi esposte nel ricorso.

Il Tribunale Amministrativo ha reso note le motivazioni che lo hanno spinto a dichiarare inammissibile il ricorso dei 5S con cui puntavano, in sostanza, a far scendere al di sotto del 50% la percentuale presa dalla coalizione di Pizza al primo turno. In ballo c’erano poco più di 750 voti da togliere al centrosinistra e consegnare ai 5 Stelle, ma questi voti andavano cercati tra le  “decine migliaia di  schede delle 42 sezioni” indicate nel ricorso, come ricorda il Tar.

Un lavoro che sarebbe durato mesi, ma che il Tribunale Amministrativo non ha ritenuto possibile effettuare perchè non risultano schede contestate nè al primo nè al secondo turno nei verbali delle 42 sezioni indicate. “Nessuna delle contestazioni sollevate dal ricorrente con il ricorso in esame risulta essere stata oggetto di reclamo in sede di scrutinio” da parte dei rappresentanti di lista del M5S. Insomma secondo il Tar non c’è alcuna prova evidente che tra le migliaia di schede di quelle sezioni, ci siano voti erroneamente assegnati proprio perchè nessuna scheda è stata contestata in sede di scrutinio dai rappresentanti di lista del M5S.

Di seguito le motivazioni del Tar con cui si dichiara inammissibile il ricorso.

FATTO E DIRITTO
Con il presente gravame, i ricorrenti – tra cui Vincenzo Ciampi, eletto Sindaco di Avellino in esito alle elezioni svoltesi a giugno 2018 con la (sola) lista n.1 – impugna il verbale delle relative operazioni dell’Ufficio Elettorale Centrale recante la proclamazione degli eletti alla carica di “consigliere comunale del Comune di Avellino”, nella parte in cui, a fronte di un’attribuzione all’unica lista collegata al candidato eletto (la lista n. 1) di soltanto n. 5 seggi, risultano (in tesi) erroneamente assegnati alle sette liste collegate al candidato Sindaco n. 4 (Nello Pizza) n. 18 seggi consiliari complessivi, in ragione della percentuale di voti validi (51,80%) conseguiti all’esito del primo turno elettorale.

Sostiene, in particolare, parte ricorrente che l’illegittimità di tale provvedimento in quanto fondato sul presupposto erroneo che, nel caso di specie, si sarebbe avverata la condizione di cui all’art. 73, comma 10, secondo periodo, del d.lgs. n. 267/2000, ovvero che il gruppo di liste in ballottaggio collegate al candidato Sindaco n. 4 avrebbe conseguito al primo turno elettorale una percentuale (51,80%) superiore al 50% dei “voti validi”.

Evidenzia a tal proposito parte ricorrente come:

– il totale dei voti (16.737) conseguiti da tale gruppo di liste andrebbe depurato di 612 voti, illegittimamente attribuiti in quanto spettanti alla propria lista n. 1;

– il totale dei voti validi complessivamente espressi (verbalizzati in 32.306) in realtà andrebbe maggiorato di numero 117 voti, illegittimamente dichiarati nulli, con la conseguenza che la percentuale corretta da attribuire alle liste collegate al candidato Sindaco n. 4 sarebbe pari al 49,73 % e che, quindi, in applicazione dell’art. 73, comma 10, del T.U.E.L. al Sindaco eletto (Vincenzo Ciampi) dovrebbe assegnarsi il c.d. “premio di maggioranza”, ovvero il 60% dei seggi pari a n. 20 seggi su n. 32 totali.

A tal fine, parte ricorrente lamenta l’illegittima valutazione di due modalità di voto:

a) croce sul logo della lista n. 1 e contestuale indicazione di voto di preferenza per due nominativi di candidati consiglieri negli spazi appositi destinati ad una delle liste collegata al candidato Sindaco n. 4 (Nello Pizza) non munita, però, di croce sul relativo logo; voti talvolta ritenuti nulli, talvolta attribuiti al candidato Sindaco n. 4 e che, invece, andavano, di contro, attribuiti alla lista n. 1 ed al candidato ad essa collegato (il ricorrente Vincenzo Ciampi), atteso che il quarto comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 570/1960 dispone che “Sono inefficaci le preferenze per candidati compresi in una lista diversa da quella votata” (con la conseguenza che sarebbe inefficace la sola preferenza per i candidati ferma restando, invece, la regolarità del voto in favore della lista prescelta e, con essa, del candidato Sindaco collegato) e che il primo comma dell’art. 5 del d.P.R. n. 132/1993, invece, stabilisce che “Nelle elezioni relative ai comuni, qualora l’elettore ometta di votare un contrassegno di lista, ma esprima correttamente il voto di preferenza per un candidato alla carica di consigliere comunale, s’intende validamente votata anche la lista cui appartiene il candidato votato. In tal caso, s’intende validamente votato anche il candidato alla carica di sindaco, collegato con la stessa lista, salvo che l’elettore si sia avvalso della facoltà di votare per un diverso candidato alla carica di sindaco”;

b) croce sia sul logo della lista n. 1 che su un’altra delle liste collegate al candidato Sindaco n. 4 e contestuale indicazione di voto di preferenza di due nominativi di candidati consiglieri negli spazi appositi destinati alla lista n. 1, collegata al ricorrente Vincenzo Ciampi; voti attribuiti alla lista collegata al candidato Sindaco n. 4 e non alla lista n.1 e che, invece, andavano assegnati a quest’ultima ed al candidato ad essa collegato (Vincenzo Ciampi), atteso che l’art. 57, penultimo comma, del d.P.R. n. 570/1960 dispone che “se l’elettore ha segnato più di un contrassegno di lista, ma ha scritto una o più preferenze per candidati appartenenti ad una soltanto di tali liste, il voto è attribuito alla lista cui appartengono i candidati indicati”, con conseguente inefficacia del solo voto di lista non accompagnato dall’indicazione della preferenza.

Relativamente, poi, alla determinazione del numero intero di seggi consiliari da attribuirsi alla lista collegata al Sindaco eletto (la n. 1), parte ricorrente sostiene come – atteso il principio, secondo cui, “in materia di operazioni elettorali e di proclamazione degli eletti in caso di quoziente frazionato ottenuto rapportando il premio di maggioranza del 60% (previsto dall’art. 73 comma 10 D.lgs. n. 267 /2000) ai seggi disponibili, questo deve essere arrotondato all’unità superiore fino a raggiungere comunque la percentuale normativamente prevista che va così intesa come minima” – nel caso di specie, in ossequio all’art. 73, comma 10, del T.U.E.L., i seggi consiliari spettanti a tale lista n. 1 sarebbero pari a 20, considerato che il quoziente frazionato anzidetto è pari a 19,2: ( 32 x 60/100) onde il necessario arrotondamento a 20 unità.

Parte ricorrente agisce onde ottenere, quindi, l’annullamento degli atti impugnati e la declaratoria di correzione dell’ordine di assegnazione dei seggi con attribuzione alla lista n. 1, collegata al Sindaco eletto, del 60% dei seggi, per un totale di 20 su 32, chiedendo in via istruttoria l’acquisizione ovvero la verificazione delle schede di ben quarantadue sezioni elettorali del Comune di Avellino onde poter procedere all’accertamento della fondatezza dei fatti esposti.

Si costituivano in giudizio taluni dei consiglieri comunali di Avellino eletti in esito alla gravata consultazione elettorale, eccependo in rito – tra l’altro – l’inammissibilità del ricorso stante la sua natura meramente esplorativa e l’assenza di qualsivoglia principio di prova, atteso che, diversamente da quanto riferito da parte ricorrente, tali incongruità non siano state “compiutamente annotate dai rappresentanti di lista”, risultando dai verbali delle operazioni elettorali in contestazione (in atti) come lo spoglio delle schede elettorali non abbia prodotto, sia al primo che al secondo turno, alcuna scheda contestata, con la conseguenza che “senza produrre alcuna prova o elemento di prova, in sostanza, i ricorrenti chiedono al Giudice di procedere alla verificazione della totalità delle schede elettorali di 42 seggi su 72, di verificare – perciò – decine di migliaia di schede alla ricerca di queste asserite 612 che non sarebbero state correttamente assegnate in fase di scrutinio, pur in assenza di alcuna contestazione formale (anche posteriore allo spoglio) da parte dei rappresentanti di lista i quali, sebbene presenti ed operativi in ognuno dei 72 seggi, non hanno mai ritenuto necessario verbalizzare alcunchè (salvo però annotarselo minuziosamente e denunciarlo in maniera informale ed anonima – e pertanto irrituale- attraverso il ricorso depositato)”.

Anche l’intimato Ufficio Centrale Elettorale si costituiva in giudizio, preliminarmente chiedendo la propria estromissione dal giudizio.

All’udienza pubblica del 3 ottobre 2018, la causa veniva trattata e, quindi, trattenuta in decisione.

E’, innanzi tutto fondata, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’Ufficio Centrale Elettorale insediatosi per le elezioni del Comune di Avellino (formalmente sollevata dall’Avvocatura nell’atto di costituzione depositato il 21 settembre 2018), atteso che, per pacifica giurisprudenza anche anteriore all’entrata in vigore dell’art. 130, comma 3, cod. proc. amm. (che espressamente non ne prevede la legittimazione passiva), nel caso di controversia avente ad oggetto l’esito dell’elezione degli organi comunali, l’unica parte pubblica necessaria da evocare in giudizio sia l’ente locale al quale vanno imputati i risultati elettorali e non anche l’Ufficio Centrale Elettorale, che è organo straordinario destinato a sciogliersi subito dopo la proclamazione degli eletti, non portatore di un interesse giuridicamente apprezzabile al mantenimento dei propri atti, in ragione della posizione di neutralità che assume nella competizione elettorale (in tal senso, ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, 23 luglio 2010, n. 4851 e 4 agosto 2010 n. 5183, nonché 2 marzo 2009, n. 1159 e 12 febbraio 2008 n. 496).

L’Ufficio Centrale Elettorale intimato deve, quindi, essere estromesso dal giudizio.

Ciò premesso – come formalmente eccepito dai controinteressati costituiti in giudizio – il ricorso è inammissibile per le considerazioni che seguono.

Osserva, infatti, al riguardo il Collegio come le censure dedotte in ricorso – sebbene possano apparire specifiche – si esauriscano in mere affermazioni labiali, basate unicamente su fatti privi di qualsivoglia supporto documentale necessario a suffragarle ed a giustificare l’attivazione dei poteri istruttori richiesti.

La giurisprudenza amministrativa è, infatti, consolidata nell’affermare come – sebbene in materia elettorale la prova che il ricorrente deve dare in ordine ai fatti posti a base delle asserite illegittimità in sede di scrutinio dei voti sia più attenuata (in quanto, ove fosse richiesta la prova piena sarebbe frustrata la stessa tutela giurisdizionale) – tuttavia, sia comunque necessario che il ricorrente fornisca un principio di prova circa i fatti dedotti posti a base del ricorso, facendo riferimento a circostanze oggettivamente desumibili dagli atti del procedimento elettorale, quali la sussistenza di contestazioni o dichiarazioni dei rappresentanti di lista contenute nei verbali delle singole sezioni in cui le dedotte irregolarità si sarebbero realizzate, non essendo una seppur precisa descrizione del numero delle schede e delle modalità di voto che formano oggetto della censura sufficiente ad adempiere all’onere probatorio incombente su parte ricorrente laddove non vi sia nemmeno un qualunque valido indizio di natura documentale dei vizi allegati (in tal senso, ex multis, T.A.R. Sicilia, Catania, Sezione II, n. 2781/2012).

L’attenuato rigore dell’onere probatorio non deve, dunque, sfociare nella generica indicazione di elementi avulsi da riscontri oggettivi documentali che inducano a reputare la prospettazione del vizio come mero espediente per provocare un inammissibile riesame ope iudicis delle operazioni dello scrutinio e un’eventuale correzione dei risultati elettorali (in termini, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 2539/2010 e T.A.R. Campania, Salerno, Sezione I, n. 6933/2009), anche considerato che l’ammissione di un ricorso sostanzialmente esplorativo finirebbe per trasfigurare totalmente il ruolo del sindacato giurisdizionale in materia elettorale, attribuendo al giudice la funzione di “scrutinatore di secondo livello” col mandato di ripetere le operazioni di spoglio (in termini, T.A.R. Sicilia, Catania, Sezione II, n. 2347/2008).

Orbene, nel caso di specie, nessuna delle contestazioni sollevate dal ricorrente con il ricorso in esame risulta essere stata oggetto di reclamo in sede di scrutinio, non emergendo dai verbali delle rispettive sezioni alcuna specifica osservazione da parte di quei soggetti che hanno il compito di far rappresentare in modo formale e unicamente in tali verbali le eventuali irregolarità delle singole operazioni elettorali.

È, infatti, pacificamente affermato in giurisprudenza come nel contesto del procedimento elettorale il Presidente del Seggio elettorale, gli scrutatori, il segretario nonché i rappresentanti di lista e dei singoli candidati “possono (rectius: devono) far constare le riscontrate irregolarità nei verbali delle operazioni”, in cui dovranno, quindi, “essere riportati tutti i reclami avanzati, i voti contestati (siano stati attribuiti o meno in via provvisoria) ovvero annullati, nonché le decisioni assunte dal Presidente (ed è significativo che il legislatore abbia da sempre previsto che, in tale ipotesi, tutte le schede contenenti voti contestati, provvisoriamente assegnati o meno, siano inseriti in una busta a parte onde consentirne la pronta individuazione in caso di verificazione da disporre in sede di gravame)”, potendo tali verbali “costituire il principio di prova idoneo a sollecitare il potere officioso del Giudice teso ad accertare, mediante l’istruttoria processuale, la effettiva sussistenza (o, al contrario, l’insussistenza) del vizio atto ad inficiare l’espressione del voto” (in tal senso, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sezione II, n. 2434/2014).

“Il controllo e l’immediata contestazione della validità/invalidità della singola scheda, al momento del relativo scrutinio … costituisce, invero, un aspetto specifico ed intrinseco allo svolgimento del munus publicum connesso all’esercizio delle funzioni di componente del Seggio elettorale, nonché di rappresentante di lista (o del singolo candidato) che sia stato ritualmente nominato e che sia effettivamente presente alla relativa fase.

Se per un verso la contestazione sulle singole schede impone ai componenti del Seggio di valutare gli specifici rilievi ed esprimere quindi un primo giudizio di temporanea “assegnazione” o “non assegnazione” dei voti colà contenuti, per altro verso ciò ostacola l’esperibilità di azioni giudiziarie meramente esplorative, considerato che le relative schede sono prontamente individuabili in caso di eventuale verificazione disposta in sede di contenzioso, siccome sempre inserite in appositi plichi separati” (in tal senso, T.A.R. Sicilia, Palermo, Sezione II, n. 2219/2013).

Ben si comprende come, anche alla luce di tali affermazioni, tutte le censure formulate in ricorso si riducano ad affermazioni sfornite di qualsiasi supporto documentale o altro riscontro attendibile, non risultando dai verbali, né da altri atti o documenti (quali, ad esempio, dichiarazioni dei singoli elettori, rese sotto assunzione di responsabilità penale) che si siano verificate le asserite irregolarità e non avendo parte ricorrente nemmeno indicato da quale fonte abbia appreso l’asserita errata assegnazione dei voti di preferenza.

In conclusione, per quanto detto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto privo di sufficienti elementi probatori, mal celando, quindi, un mero intento esplorativo, reso, vieppiù, evidente dal numero delle schede che si richiede di scrutinare.

Sussistono, comunque, giusti motivi, attesa la peculiarità della fattispecie, per compensare integralmente tra tutte le parti le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, previa estromissione dell’Ufficio Centrale Elettorale evocato in giudizio, dichiara il ricorso inammissibile.