Il suo tratto distintivo è la gentile discrezione con cui affronta la vita, lo stesso tratto che permea le sue immagini; lui è Aldo Marrone e le sue foto parlano del suo amore per la bellezza.
Attratto dall’obiettivo sin da ragazzo, Aldo Marrone si forma nelle lunghe ore di esperimenti in camera oscura, con la stampa artigianale in bianco e nero, provando emozioni oggi incomprensibili per i giovani “nativi digitali” cui la tecnologia regala tanti strumenti ma toglie l’emozione dell’attesa, il contatto quasi sensuale con le carte fotografiche, l’odore dei chimici, insomma il rito di far nascere una foto come una levatrice fa venire alla luce un bambino.
Nel bagno di casa e con il condimento degli affettuosi rimbrotti materni, il giovane Aldo fa tanti lavori diversi pur di guadagnare il necessario per finanziare la sua passione unica: la fotografia.
Il tempo e la perseveranza gli danno ragione e, finalmente, Aldo si afferma nel campo della foto pubblicitaria e del wedding, senza mai dimenticare l’amore per il ritratto e il reportage, che lo portano a entrare in contatto, con il tatto e la gentilezza che gli sono propri, con persone di ogni età e condizione sociale di cui raccontare la storia in uno scatto.
L’altro suo grande amore sono i paesaggi, specie della sua Irpinia, di cui coglie i grafismi e le atmosfere più rarefatte e sospese ma anche la potenza arcaica, di cui ama ricercare le trame oniriche e con cui ama giocare, rendendo sghembe le prospettive di antichi campanili o trasformando tappeti di nubi in evocativi scenari per voli di drago.
Aldo Marrone, com’è nata la passione per la fotografia?
“Avevo circa 15 anni quando ho incominciato a fotografare persone per poi riprodurle in quadri con pittura a olio. Col tempo, ho messo da parte la pittura per dedicarmi completamente alla fotografia”.
Quali sono i suoi maestri o le sue fonti d’ispirazione?
“Non ho avuto maestri, mi sono lasciato guidare dalla mia curiosità e spirito di ricerca che mi ha portato a sperimentare. Comunque ero e sono affascinato dai grandi fotografi come Henri Cartier-Bresson, di cui ammiro le composizioni geometriche, e dai grandi pittori come Caravaggio maestro della luce. Ma un ispiratore è stato anche Pirandello, nel senso che un’immagine non è mai reale ma un’interpretazione”.
Quali sono le tecniche che predilige nella realizzazione dell’immagine?
“La luce e la macchina fotografica, la tecnica deve essere qualcosa che c’è ma che lavora come una competenza inconscia, in modo da non sovrapporsi al moto spontaneo dell’occhio che inchioda un frammento di tempo, un attimo, al desiderio di trasformarlo in qualcosa di isolato, unico e condivisibile con chi guarda”.
Paesaggio, reportage, ritratto, quali sono le diverse emozioni che le suscitano?
“E’ difficile descrivere le emozioni perché esse cambiano a seconda dello stato d’animo. Personalizzo le immagini in base a come la vedo in quel momento. Il bello di fotografare è che si coglie il divenire, il mutare della realtà ad ogni respiro; mutano le espressioni dei volti seguendo i pensieri, mutano i paesaggi seguendo il cammino della luce solare, mutano le antiche pietre con l’erosione e il tempo e muta persino una pozzanghera d’acqua dove qualcuno ha abbandonato un ombrello rotto”.
Un episodio divertente e uno commovente dal suo album dei ricordi fotografici.
“Divertente, soprattutto per gli altri! Una vota, infatti, mi si sono strappati i pantaloni mentre eseguivo uno scatto, ho infatti l’abitudine di fare il “contorsionista” quando fotografo. Il ricordo più commovente è sicuramente quello dei primi scatti che ho fatto a mio figlio appena nato, momenti in cui l’emozione è personalissima ma si ha anche la consapevolezza di provare qualcosa che ogni uomo ha provato dall’alba dei tempi”.
Quali sono le mostre o le pubblicazioni più importanti cui ha partecipato?
“Ho avuto l’onore di avere una mia foto esposta nella Galleria Spazio Museale Palazzo de Louvre Sale del Carrousel dal 24 al 26 ottobre 2014. Ho partecipato inoltre a diverse iniziative culturali collettive in città e fuori”.
Oggi la fotografia è ormai completamente digitale, i tempi romantici dell’attesa in camera oscura sono quasi archeologia, ci può essere lo stesso calore nelle immagini, la stessa emozione e possibilità di lavorare i supporti come si faceva un tempo con i chimici e la carta?
“Ho sperimentato direttamente sia il lavoro in camera oscura che la fotografia digitale. Secondo il mio modo di lavorare l’avvento del digitale non ha tolto la mia artigianalità alle mie foto, infatti amo definire il mio computer “camera chiara”: la camera oscura serviva ad ottimizzare lo scatto in base alla propria personalità i mezzi di oggi mi consentono di fare le medesime cose, tutto dipende dalla sensibilità di ciascuno. Quando vedo un’immagine Non do importanza al tipo di macchina o tecnica fotografica ma giudico se è bella o brutta”.
A suo avviso c’è abbastanza spazio per la fotografia nella nostra città?
“Ognuno coglie il proprio spazio”.
Quali sono gli altri fotografi irpini di cui apprezza il lavoro, a suo avviso c’è una “scuola avellinese” di fotografia? Possiamo eventualmente ricostruirne un po’ la storia?
“Ho tanti amici che stimo, ma una vera scuola avellinese di fotografia non mi risulta”.
Giovani e fotografia, se ne vedono tanti in giro con le reflex, c’è desiderio di imparare la tecnica oppure prevale l’approccio “istintivo” all’immagine?
“Di reflex in giro ne vedo raramente, purtroppo vedo tanti selfie con i cellulari…”.