“Affari di famiglia” sull’asse Roma-Napoli: 28 arresti nella Capitale

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Alle prime ore di questa mattina, militari del Nucleo Speciale Polizia Valutaria della Guardia di Finanza e personale della Squadra Mobile di Roma, con il supporto di altre unità operative del Corpo e della Polizia di Stato, hanno dato
esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 28 persone e a un sequestro preventivo di beni per circa 15 milioni di euro.

In particolare, è stata smantellata la famiglia “Senese”, più volte coinvolta in indagini di criminalità organizzata, facente capo al noto pluripregiudicato M.S. (detto “Michele o’ pazz”), attualmente detenuto presso la casa di reclusione di Catanzaro, dove sta scontando una condanna quale mandante dell’omicidio del “boss della Maranella” Giuseppe Carlino.

Il “gruppo Senese”, di origini napoletane, storicamente collegato al clan “Moccia” di Afragola, si è insediato stabilmente nella città di Roma negli anni ’80, dove è riuscito ad affermarsi tra le più influenti realtà criminali capitoline, dedicandosi principalmente al traffico di stupefacenti, alla gestione delle piazze di spaccio e al riciclaggio di proventi illeciti, accrescendo il potere criminale ed economico e agevolando la persistenza e la pervasività dell’associazione mafiosa di riferimento.

La Capitale è diventata il centro nevralgico per tessere le relazioni e i contatti con tutto il territorio nazionale, controllare le attività illecite e convogliare gli ingenti profitti ricavati in settore economici in cui è più facile investire denaro contante, non tracciabile.

La famiglia ha costituito cosi un sistema criminale organico, strutturato e collaudato, che ha potuto contare innanzitutto sul ruolo di M.S. che, anche durante il periodo di detenzione, ha continuato a coordinare e gestire le
attività illecite della famiglia stabilendo la strategia criminale, mediante i messaggi criptici trasmessi ai familiari autorizzati a presenziare ai colloqui, in particolare il figlio (V.S., classe ’77) e la moglie (R.G., classe’59).

In almeno due occasioni, il detenuto si è scambiato con il figlio, senza farsi notare dal personale di vigilanza, le calzature rispettivamente indossate. L’organizzazione familiare si è basata poi sul supporto di A.S, fratello
di Michele, con un’ascesa delinquenziale da collocare alle fine degli anni ’90, allorquando subentrava nel controllo degli affari di famiglia in occasione del periodo di detenzione del fratello e soprattutto dopo l’uccisione dell’altro fratello, Gennaro.

La loro notorietà negli ambienti criminali ha consentito di muoversi liberamente senza bisogno di ricorrere con frequenza alla violenza. È stato accertato come fosse sufficiente spendere il nome della famiglia per caricare di forza intimidatrice la condotta illecita perpetrata. Le indagini – intraprese nel mese di marzo 2017 dallo sviluppo di alcune circostanze emerse nell’ambito delle indagini che hanno interessato il pregiudicato C.Z., resosi nel frattempo latitante a seguito di provvedimento definitivo di carcerazione e catturato da questi organi investigativi il 13 settembre 2017 – è stata espletata attraverso l’esecuzione di numerose operazioni di intercettazione (telefoniche e
ambientali), attività di videoripresa supportate da servizi dinamici sul territorio, nonché mediante lo sviluppo di molteplici e convergenti segnalazioni di operazioni sospette, la ricostruzione dei flussi finanziari e gli approfondimenti economico-patrimoniali di persone fisiche e giuridiche, anche interposte.

L’attività investigativa si è concentrata sia sulla ricostruzione minuziosa dei più
recenti fatti delittuosi sia sui canali di investimento, individuati dalla famiglia
Senese -soggetti del tutto incapienti e privi di reddito- e dai soggetti che gravitano
intorno ad essa per “ripulire” e far “fruttare” le ingenti somme di denaro
accumulate nel tempo e almeno in parte occultate, in maniera frazionata, in luoghi
non convenzionali, spesso ricavati all’interno di diversi immobili nella disponibilità
della famiglia.
Più in dettaglio, le indagini hanno svelato una serie di condotte volte a dissimulare
l’illecita provenienza del denaro mediante:
– la consegna del denaro contante a imprenditori collusi per specifici
investimenti nelle proprie attività commerciali, con il riconoscimento di un
tasso d’interesse usurario (anche del 10% mensile) alla famiglia Senese sul
capitale prestato fino alla sua intera restituzione, e un ulteriore ritorno sotto
forma di “utile” e altri benefit (vacanze, soggiorni, pagamenti spese mediche,
assunzioni, mantenimento di familiari di detenuti ecc.);
– la fraudolenta interposizione di persone fisiche e intestazione fittizia di
persone giuridiche, anche di diritto estero, per immettere il denaro sporco nel
sistema finanziario e nei circuiti dell’economia lecita, mediante apparenti
contratti di prestiti/finanziamenti e altri documenti artificiosamente redatti, per
eludere gli obblighi della normativa antiriciclaggio;
– cambi frequente di prestanome con ripetute operazioni di cessioni di quote
societarie.
In tal modo, M.S., attraverso il figlio V., ha dato avvio, dopo gli
arresti di alcuni partners commerciali romani attivi nel settore delle auto, a
consistenti investimenti, per circa 500 mila euro, nel commercio all’ingrosso
dell’abbigliamento, mediante società ubicate in provincia di Frosinone e Verona,
la V.E.M. S.R.L. e la MANILA s.r.l di M.B e la B.M.D. MODA
S.R.L. di B.P..

Ulteriori 400 mila euro sono stati reimpiegati in Lombardia attraverso il supporto
di due imprenditori operanti al Nord Italia ma di origine campana, G.V. e A.S., perfettamente consapevoli dell’origine dei
fondi. I fondi illeciti sono stati utilizzati, tra l’altro, per acquistare partite di capi
d’abbigliamento a marchio “Colmar” e Disquared”.
Altre somme illecite, quantificate in 1 milione di euro, dapprima trasferite in
Svizzera e gestite attraverso due soggetti giuridici esteri appositamente costituiti
da un colluso imprenditore italiano residente in Svizzera- sono state impiegate
per finanziarie attività imprenditoriali di una società milanese (con unità
operative in Campania) riconducibili a due ulteriori soggetti contigui al clan.
In questo senso, le evidenze investigative danno contezza di significativi
collegamenti e flussi finanziari illeciti da/verso il paese elvetico, con
inquinamenti di settori dell’economia lombarda e veneta, frutto dell’interposizione
di società costituite ad hoc nel Nord Italia dove immettere nel circuito economico
legale risorse finanziarie di origine criminale.
Si tratta di una strategia pianificata, tesa a fare business laddove sussistono maggiori
opportunità di profitto.
Parallelamente, A.S. è riuscito a far confluire le risorse del gruppo
criminale, con investimenti illeciti per oltre 230.000 euro, in note attività di
ristorazione nella Capitale – tra le quali “DA BAFFO” e “DA BAFFO 2” – nonché in
un importante stabilimento in provincia di Latina di produzione casearia,
ricorrendo sempre a prestanome.
Particolarmente significative, inoltre, le condotte usurarie ed estorsive poste in
essere nei confronti di un ex imprenditore romano operante nei settori
dell’autonoleggio e della produzione cinematografica che, dal 2017, a causa di un
perdurante stato di indebitamento, ottiene da V.S., in cinque tranches,
un consistente prestito di 130.000 euro a un tasso usurario del 120% annuo, con la
conseguente impossibilità alla restituzione.
Le risultanze investigative hanno evidenziato il persistente stato di
assoggettamento della vittima, determinato da continue pressioni e minacce sia nei
suoi confronti che dei relativi familiari.

Un rapporto debitorio nei confronti del Senese caratterizzato da continue e
improvvise richieste di incontri de visu per verificare l’attendibilità alla restituzione
del denaro; minacce di morte; richieste estorsive per 15.000 euro non rientranti nel
rapporto usurario di più ricariche postepay e trasferimenti di denaro mediante
money transfer; pagamenti di spese per viaggi di lavoro e di piacere dell’usuario,
prestito forzoso della propria autovettura.
Inoltre, a danno dello stesso ex imprenditore sono emerse ulteriori condotte illecite
commesse da due soggetti romani (padre e figlio), per l’erogazione di un altro
prestito usurario di 138.000 euro (consegnati in quattro tranche con tassi del 120%
annuo) con reiterate minacce di possibili violenze nei suoi confronti e dei familiari.
Anche in questo caso, parte dei soldi dovuti a titolo di interesse venivano versati
dalla vittima su carte di credito prepagate.
Infine, anche nei confronti degli imprenditori P. e B., V.S. cl.’77 e il padre M., in corrispettivo di prestazioni in denaro per un totale di 200mila euro, si facevano riconoscere interessi del 4% mensile (48% annuo)
sul capitale prestato, fino alla sua intera restituzione.
Con il medesimo provvedimento restrittivo, attesa la puntuale ricostruzione
patrimoniale, è stato altresì disposto, ed eseguito, il sequestro preventivo delle
disponibilità finanziarie di alcuni indagati, di beni e società per un valore
stimabile in oltre 15 milioni di euro:
– il complesso aziendale di 10 società, tra cui 4 società attive nella ristorazione
(tutte con sede a Roma), 5 nel commercio all’ingrosso e dettaglio di
abbigliamento (ubicate a Frosinone Verona, Milano, Brescia e Bergamo) e 1
caseificio (con stabilimento a Pontinia, in provincia di Latina);
– 5 unità immobiliari (quattro in provincia di Milano e una a Napoli );
– 1 imbarcazione da diporto.
L’odierna operazione -che ha interessato anche le province di Milano, Verona,
Napoli, Frosinone e L’Aquila- si inserisce nel quadro delle azioni poste in essere
dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato, con il coordinamento della
Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, volte al contrasto dell’infiltrazione della
criminalità organizzata nell’economia legale, nonché all’aggressione ai patrimoni
illecitamente accumulati.