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Acqualonga, passa la tesi di Cantelmo e Procura Generale: sentenza ribaltata

NAPOLI- I magistrati della Seconda Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli hanno ribaltato il verdetto emesso l’undici gennaio del 2019 dal giudice monocratico del Tribunale di Avellino Luigi Buono, in particolare sulle responsabilita’ degli allora vertici di Autostrade, assolti in primo grado dall’accusa di omicidio colposo plurimo in concorso con gli altri dirigenti, invece condannati per la strage di Acqualonga, uno degli incidenti stradali piu gravi nella storia del Paese, passato alla cronache come la strage del bus.

IL VERDETTO: 6 ANNI A CASTELLUCCI, MOLLO, FORNACI E PERNA

Alle diciassette in punto il trillo in aula annuncia la fine della camera di consiglio, iniziata poco dopo le dieci. In aula la presidente della Seconda Sezione Penale Maria Francica legge il dispositivo davanti a quasi tutte le parti, a partire dal magistrato che ha condotto l’istruttoria per la Procura Generale di Napoli, il sostituto Stefania Buda e i difensori degli imputati. Ci sono anche alcuni familiari delle vittime, a partire da Giuseppe Bruno. La riforma della sentenza di primo grado per Castellucci Giovanni, Mollo Riccardo, Fornaci Massimo Giulio, Perna Marco, condannandoli a sei anni per il capo C, riconoscendo agli stessi l’attenuante del risarcimento del danno prevalente sull’aggravante invocata. La riforma della sentenza di primo grado ha portato alla rideterminazione delle pene inflitte dal Tribunale di Avellino per Giulio Spadavecchia e Paolo Berti a 5 anni. Rideterminata anche la sentenza per gli imputati De Franceschi, Marrone e Gerardi, per loro la condanna scende a 3 anni. Per Lametta Gennaro e Ceriola Antonietta, i giudici hanno deciso di dover riconoscere il non doversi procedere relativamente al capo A, ovvero alle ipotesi di falso per la revisione. Ma nessuna rideterminazione della pena. Saranno necessari novanta giorni per conoscere i motivi per cui i magistrati della Corte di Appello di Napoli hanno deciso di ribaltare il verdetto per i vertici all’epoca (28 luglio 2013) di Autostrade. In primo grado come e’ noto c’era stata la condanna del titolare dell’azienda che gestiva il bus, Gennaro Lametta, alla pena di 12 anni, come richiesto dall’accusa. Otto anni invece per la dipendente della Motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola, a fronte di una richiesta di 9 anni. Sei anni di reclusione, invece, ai dirigenti di Autostrade, Gianluca De Franceschi e Nicola Spadavecchia. Paolo Berti e Gianni Marrone, il primo direttore di tronco di Autostrade e il secondo dipendente della concessionaria, sono stati condannati a 5 anni e 6 mesi. Ritenuti colpevoli anche altri due dipendenti di Aspi, Michele Renzi e Bruno Gerardi, condannati a 5 anni.

PASSA LA TESI DI CANTELMO E DELLA PROCURA GENERALE: VERTICI RESPONSABILI

Una vittoria a distanza di quattro anni dal primo verdetto per la tesi che aveva portato la Procura di Avellino, in particolare l’ex Procuratore Rosario Cantelmo e il pm Cecilia Annecchini a sollecitare una riforma della sentenza emessa a gennaio 2019. Cantelmo aveva invocato al termine della requisitoria in aula una condanna a dieci anni per Castellucci. Una tesi che la Procura Generale ha coltivato in una lunga istruttoria, andata avanti per circa tre anni. Alla fine i giudici hanno accolto la richiesta di condanna per gli ex vertici di Autostrade assolti in primo grado dal Tribunale di Avellino, a partire dall’ex ad di Atlantia Giovanni Castellucci che il 4 maggio scorso aveva avanzato al termine della sua requisitoria, durata circa due ore, il sostituto procuratore generale di Napoli Stefania Buda, che aveva sollecitato l’accoglimento dell’impugnazione della Procura di Avellino e concluso per la colpevolezza degli ex vertici di Autostrade coinvolti nel primo processo alla luce della circostanza che la rinnovata istruttoria ha dimostrato le responsabilità dei vertici di Autostrade sul mancato intervento di riqualificazione delle barriere, per cui al contrario di quanto sostenuto nella tesi difensiva, per Buda erroneamente “sposata” dal giudice di prime cure, non ci fu alcuna scelta discrezionale da parte dei dirigenti del Tronco di Cassino e del progettista, bensì si trattava di una linea dettata dai vertici. Davanti al collegio della Seconda Sezione Penale di Appello di Napoli, il sostituto procuratore generale aveva esordito ritenendo comprensibili le reazioni alla sentenza da parte dei dirigenti Aspi condannati in primo grado. Perché si era consumata una vera e propria “ingiustizia”, con i vertici della società invece esclusi dalle responsabilità. Per Buda invece appariva evidente come ci fosse stata oltre che ad un’erronea valutazione di merito anche documentale. Il magistrato ha ricostruito , carte alla mano, il perché del pieno coinvolgimento degli allora vertici Aspi nella mancata riqualificazione del viadotto, circostanza concorrente alla tragedia costata la vita a quaranta persone vittime della cosiddetta “strage del bus”.E tutte le prove della responsabilita’ dei vertici di Autostrade sarebbe gia’ stata rilevabile dagli stessi documenti acquisiti presso Aspi. In particolare una lettera che lo stesso Dg di Aspi Riccardo Mollo avrebbe inviato all’Anac riferendo che l ‘intervento era previsto per le barriere di primo impianto. Ma non solo, anche dalle stesse dichiarazioni rese dal progettista dell’intervento eseguito sul viadotto, che ad una specifica domanda sul perché non si fosse intervenuto per riqualificare le barriere, aveva fatto riferimento al piano di riqualificazione del 2008 voluto dai vertici. Il sostituto pg ha anche chiesto come mai, visto che gli atti sono stati ritenuti nella discrezionalità del progettista, all’esito del processo non ci sia stata la trasmissione di eventuali richieste da valutare alla Procura della Repubblica nei suoi confronti? Nella sentenza a proposito di quella che per l’accusa è stata una scelta e invece per il giudice di prime cure una discrezione del progettista, ci sarebbero come si legge nelle sentenza, documentate motivazioni. Esattamente quelle che per l’accusa non sono rilevate in alcun modo. Nessuna traccia. Anche in punti di responsabilità in vigilanza sugli interventi, per la Procura Generale ci sarebbe comunque una precisa responsabilità degli allora vertici.Per cui la nota in tempi non sospetti dell’allora Dg sugli interventi di primo impianto e gli altri elementi portati all’attenzione e rilevati nella rinnovata istruttoria dimostrerebbero proprio che ci furono precise responsabilità.

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