Accusata di indebita percezione del reddito di cittadinanza, assoluzione confermata in Appello

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Proscioglimento bis per una donna di origini bulgare, ma da anni residente a Teora, che stando all’impianto accusatorio ha percepito indebitamente il reddito di cittadinanza per diversi mesi, non avendone diritto. La conferma della sentenza di non doversi procedere perchè “il fatto non costituisce reato” è arrivata all’esito del processo di Appello, celebrato dopo che il pubblico ministero del tribunale di Avellino, Luigi Iglio, aveva impugnato la sentenza emessa dal Gip Francesca Spella in sede di udienza preliminare.

La donna nel 2019 tramite un patronato aveva provveduto ad inoltrare all’Inps, l’istanza tesa all’ottenimento del beneficio, attestando falsamente di risiedere in Italia da 10 anni. A seguito degli accertamenti condotti dai carabinieri della stazione di Teora, la straniera che pure viveva in Italia da molti anni, era stata iscritta nel registro degli indagati con le accuse di falso e truffa ai danni dello Stato, in quanto l’Inps dal maggio 2019 al gennaio 2020 le aveva corrisposto a titolo di reddito di cittadinanza, alcune migliaia di euro. Stando all’ipotesi accusatoria, la donna, pur non avendo maturato il requisito decennale della residenza in Italia, nella domanda inoltrata all’ente previdenziale ne aveva falsamente attestato la sussistenza, inducendo in errore con artifici e raggiri l’ente erogante del reddito di cittadinanza e dunque percependo indebitamente la somma corrispostale. Alla donna dunque è stata revocato il beneficio del reddito di cittadinanza e al termine delle indagini da parte dei militari dell’Arma, il pubblico ministero Luigi Iglio, aveva provveduto a formulare di richiesta di rinvio a giudizio. Il Gip del tribunale di Avellino, accogliendo le richieste dell’avvocato Angelo Polcaro, aveva assolto la donna da ogni addebito, ritenendo manchevole in capo all’imputata qualsiasi intento fraudolento, essendo con ogni evidenza la stessa incappata in un mero errore circa la sussistenza del requisito, atteso che si era limitata semplicemente ad apporre la propria firma in calce alla dichiarazione compilata elettronicamente dal patronato a cui si era rivolta, e senza in alcun modo verificare, il contenuto per rilevarne eventuali omissioni ed inesattezze. E proprio sulle motivazioni adottate dal gip per dichiarare il proscioglimento della donna che il pubblico ministero aveva puntato il dito ritenendo, nell’atto di appello spiegato contro la sentenza di proscioglimento, che il giudice fosse incorso in una valutazione ultronea e di conseguenza erronea circa l’insussistenza del reato. Ma la III sezione della Corte di Appello di Napoli, all’esito della discussione dell’avvocato Angelo Polcaro, difensore di fiducia della donna, ha ritenuto condivisibile la sentenza di primo grado, rigettando l’appello del pubblico ministero e confermando la sentenza di assoluzione.