“A Milano ho visto la vita e la morte”, la storia di un irpino al Nord

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Nando Parente è vissuto in provincia di Avellino, precisamente a Montefusco, fino a nove anni fa quando ha deciso di abbandonare tutto e partire per Milano. Erano gli albori della crisi, già si intravedeva che la realtà italiana, ed in particolare quella del sud, stesse cambiando inesorabilmente in peggio.

La vita da caserma, la decisione di lasciare e di restare comunque a Milano, il lavoro da ascensorista, un terribile incidente e la “rinascita” fisica e spirituale per una storia di un irpino al nord che vale la pena di essere raccontata.

Da quanto tempo e perché hai scelto di partire per Milano?

“Ho sempre creduto che Milano fosse la città delle opportunità, un posto dove se hai voglia, carattere e potenzialità

nando pirellone
Nando Parente e… il Pirellone

hai anche la possibilità di realizzare il tuo futuro, cosa che si è rivelata veritiera. Purtroppo, nel mio paesino di montagna in Irpinia, per quanto lo amassi, mi sentivo in gabbia.

Il desiderio di evadere da quella monotonia era un qualcosa che mi perseguitava. Avevo appena compiuto 19 anni, partii per fare il militare con destinazione Milano, terzo reggimento bersaglieri. La vita di caserma, per quanto molto più leggera degli anni in cui era obbligatoria la leva, è stata dura. Pensa ad un ragazzo che aveva sempre vissuto in maniera molto libertina in un piccolo paese, trovarsi di punto in bianco in una giungla di città a vivere una vita fatta di regole e imposizioni.

Eppure quel modo di vivere mi ha insegnato tanto, mi ha cambiato tanto. E mi ha dato le basi per decidere di rimanere a Milano e iniziare a vivere di concretezza e non più di sogni e speranze come del resto facevo al Sud. Era il lontano 2007, a pensarci mi sembra ieri ma sono già 9 anni…”.

Com’è la tua vita nella capitale economica d’Italia?

“La mia vita a Milano adesso… Beh posso dire di essermi realizzato, quello è sicuro. Riuscirci a 27 anni non è una cosa molto facile, quindi mi sento soddisfatto e orgoglioso di me stesso. Comunque sia è una vita, come un po’ ovunque in questo momento, piena di sacrifici. Oltre al lavoro, vivere da solo è molto impegnativo. Diciamo che ho imparato ad apprezzare tutto quello che ha fatto mio padre per me, svegliandosi tutte le mattine alle 6 per andare a lavoro e cercando di far quadrare le spese a fine mese. Ho imparato ad apprezzare tutto quello che ha fatto mia madre, occupandosi delle faccende di casa, spese, bollette e tutto ciò che ne concerne. La parte dura è riuscire a fare sia il lavoro dell’uno che quello dell’altra insieme. Ma impegnandosi, piano piano, ci si riesce.

Per quanto riguarda invece la vita in città, molti dicono che preferiscono quella di paese ma, onestamente, per quanto possa essere stressante e impegnativa, io la preferisco di gran lunga. Si parlava tanto della freddezza del nord e dei loro rancori verso noi meridionali, per quanto mi riguarda non penso sia esattamente così. Sì, è vero, noi al sud siamo più predisposti all’accoglienza per un fatto di mentalità ma, se sei una persona che si comporta bene, anche al nord a modo loro sono molto calorosi. E senza distinzioni tra settentrione e meridione.

Poi, vivendo in una città così grande, ognuno mette se stesso al primo posto e la cosa più bella in assoluto è che nessuno si fa il problema di ‘cosa pensa la gente’! Anche perché qua la gente ha troppo da fare per se stessi che mettersi a stare a giudicare te o la tua vita. Io amo Milano.”

A Milano hai vissuto anche un’esperienza traumatica, ci racconti cos’è avvenuto e come ti ha cambiato la vita?

“Questo è un tasto un po’ delicato. Il 7 aprile 2010, mentre lavoravo, una macchina mi si è fiondata addosso a velocità elevata. La mia auto si è fermata dopo 23 metri di ribaltamenti, a testa in giù. C’è stato bisogno dell’intervento dei vigili del fuoco che hanno dovuto tagliare le lamiere per estrarmi da quello che rimaneva del veicolo. Sono entrato in coma. Ovviamente non ricordo niente, i miei ricordi sono rimasti a 3 o 4 giorni prima dell’incidente.

I medici dicevano ai miei che l’unica possibilità che avevo di risvegliarmi sarebbe stata un’operazione al cervello, ma che mi avrebbe causato, con certezza quasi matematica, dei danni irreversibili. Dopo 8 giorni le dimensioni del mio cervello, che si era gonfiato per la forte botta presa e che comprimeva contro le pareti del cranio, sono tornate nelle norma. E miracolosamente mi sono svegliato.

Vedevo i miei genitori, parenti venuti dall’Irpinia, amici di Milano vicino al mio letto e non riuscivo a rendermi conto di cosa fosse successo. La cosa che mi ha fatto più piacere di tutte è stato tornare a casa a Montefusco e vedere con quanta gioia e calore mi hanno accolto tutti. Ho saputo che in quegli otto giorni hanno fatto di tutto per me, hanno addirittura organizzato gruppi di preghiera in chiesa col parroco del paese, Padre Antonio. Anzi colgo l’occasione per ringraziare tutti i miei paesani pubblicamente, anche se sono passati anni, oltre ad una persona speciale che accudì mia nonna in quei giorni di puro delirio per i miei.

Io credo che da ogni esperienza che mi capita, bella o brutta che sia, io debba riuscire a cogliere l’insegnamento migliore. Esci di casa per andare a lavoro, ti svegli dopo 8 giorni in ospedale. In questo caso ho imparato ad apprezzare la vita. E vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, perché in realtà, potrebbe essere l’ultimo davvero.”

Alla luce del tuo recente vissuto torneresti in Irpinia?

“Parlando in tutta onestà, non tornerei. Magari è perché ho passato qui i 9 anni più importanti della mia vita, magari perché al sud non vedo sbocchi di nessun tipo, né lavorativi ne ricreativi. Non lo so. A Milano sono riuscito a costruirmi qualcosa con le mie forze, ho sudato talmente tanto per riuscirci che ormai non credo mollerò tanto facilmente la presa. Ovvio, le mie origini sono in Irpinia, lì ci sono i miei genitori, quella è la mia terra. Però qui si sta lottando per un qualcosa di più grande, il mio futuro. E sono sicuro che Milano sia il posto giusto per me.

Se posso solo permettermi di dare un consiglio a tutti quelli che leggeranno: non siate il risultato delle circostanze in cui vi trovate ma lottate per crearvi le circostanze migliori per voi stessi. Impegno, costanza, determinazione e tanti sacrifici.”

Pasquale Manganiello

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