La Giustizia ad orologeria…

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Un orologio a cucu’, un carillon, un tascabile, un pendolo o qualcosa di più veloce e dinamico e soprattutto costoso. Diciamoci la verità, nella migliore e piu’ benevola interpretazione ognuno vorrebbe avere la pretesa che il tempo scorra con gli stessi ritmi della propria attività e magari con il modello di orologio che piu’ ci fa piacere. Nella peggiore invece che scorra e sia dettato dalle nostre necessità. Una delle attività per cui maggiormente si vorrebbe dettare i tempi, tenere l’orologio in mano per intenderci, e’ sicuramente quella della Giustizia. Soprattutto quando si passa da un orologio rotto, che al massimo segna l’ora giusta un paio di volte al giorno ad un orologio che funziona (poi ognuno valuterà se e’ un Casio o un Rolex come nella famosa disputa). Quante volte abbiamo sentito parlare della giustizia ad orologeria? Dal 1992 ad oggi direo ad ogni inchiesta. Partiamo da una certezza: in Italia la giustizia ad orologeria applicata ai fatti politici non esiste. Non può esistere nella misura in cui nel nostro Paese si vota almeno una volta all’anno e anche quando non si vota sono ciclici fenomeni che coinvolgono la pubblica amministrazione. Voler attendere i tempi di ogni parte politica, significherebbe sostanzialmente bloccare l’attività di indagine. Fatta questa premessa, non posso dimenticare quello che qualche anno fa mi disse un magistrato riferendosi alla pressante richiesta che i nostri tempi (pubblicistici) corrispondessero a quelli delle indagini e della comunicazione delle stesse alla collettività. Non era possibile. Sono tempi diversi. Sono tempi che impongono cautele, regole, accertamenti, riscontri e anche valutazioni ponderate, trattandosi di scelte che impattano sulla vita delle persone e quando si tratta di fatti legati alla pubblica amministrazione di intere comunità. Così, come sbaglia chi ritiene che le indagini e gli esiti delle stesse possano avere una finalità politica ed una precisa scansione temporale per colpire un avversario, come sentite ripetere da anni ogni qualvolta viene inquisito o arrestato un esponente politico, così sbaglia chi può pensare al contrario. Cioè può pensare che nel corso di una campagna elettorale irrompano iniziative investigative che possano condizionarne lo svolgimento. Si chiama correttezza. Anche perché è legata alle precise garanzie e soprattutto ai necessari approfondimenti che determinino come un fatto giudiziario possa giungere in giudizio con percentuali alte di essere valutato positivamente. Quello per cui si dice che possa superare il vaglio istruttorio dibattimentale. Allora può capitare che, come e’ successo ad Avellino negli ultimi mesi, la Procura venga prima tacciata di un intervento “ad orologeria” quando il 18 aprile e dopo circa otto mesi di indagine ha ottenuto la misura per l’ex sindaco Gianluca Festa e dopo il voto, che ha visto eletta l’ex vicesindaco Laura Nargi qualcuno inopinatamente possa pensare che se le intercettazioni emerse dall’ultimo filone di inchiesta sugli affidamenti avessero fatto irruzione nella campagna elettorale, gli esiti sarebbero stati differenti. E’ sbagliato anche questo. L’orologio della Giustizia non può incrociarsi con quello della politica, può certo anche accadere, ma non perché si voglia influenzare una competizione, più semplicemente per una questione di tempi. L’orologio della Giustizia non può essere spostato un’ora avanti come faceva il maestro Canello nel famoso veglione di Capodanno del film di Fantozzi. Per cui, tanto quanto chi critica il tempismo sospetto sbaglia anche chi pensa o si rammarica, si duole che un ritardo possa essere la causa di avvenimenti che esulano dalla vera natura degli accertamenti giudiziari, la ricerca delle prove che resistano in giudizio.