AVELLINO- Da domani il suo ufficio al secondo piano del Palazzo di Giustizia di Avellino sarà vuoto. Quello dove negli ultimi nove anni sono passati investigatori e indagati, anche illustri e non solo della criminalità organizzata.
Davanti alla sua scrivania ci sono stati, seppure convocati come persone informate sui fatti esponenti di primo piano a livello nazionale della politica e dell’imprenditoria. La Procura di Avellino perde uno dei suoi magistrati di maggiore esperienza, il sostituto procuratore Vincenzo D’Onofrio.
Da lunedì il pm odiato da camorra e colletti bianchi sarà nelle piene funzioni di sostituto procuratore generale a Napoli, dove da qualche mese era già applicato per un giorno alla settimana alla Sesta Sezione Penale. Riavvolgere un nastro lungo quasi nove anni, dal lontano settembre 2015, riesce a consegnare le più importanti inchieste firmate dai magistrati di Piazza D’Armi nel settore della criminalità economica e anche di quella organizzata.
Quando era arrivato a Palazzo di Giustizia nel settembre del 2015 Vincenzo D’Onofrio aveva già fama di un investigatore che aveva praticamente azzerato uno dei più potenti clan della camorra nell’area nord di Napoli: i Sarno di Ponticelli. Una delle attività più note nella sua carriera alla Dda di Napoli era stata eseguita nel settembre del 2012, quando ottenne dal Gip Antonella Terzi il sequestro di uno dei Gigli di Barra, che fu pure abbattuto perché in mano secondo le ipotesi investigative al potente clan Cuccaro. La camorra aveva anche deciso di fargliela pagare. Nel 2011 il collaboratore di giustizia Pasquale Di Fiore rivelò il piano studiato dal boss acerrano Giuseppe Di Iorio, detto «Peppe ‘o killer», per eliminare D’Onofrio. L’attentato prevedeva l’uso di un bazooka, che evidentemente i camorristi di Acerra non avrebbero avuto difficoltà a procurarsi. Le minacce nei suoi confronti da parte degli esponenti della criminalità organizzata anche in provincia di Avellino non sono mancate. Cambia la zona di azione ma la toga “senza paura”, cosi come è stato definito negli anni Vincenzo D’Onofrio, continua a non attirare simpatie dai boss. Siamo nel marzo del 2018. Stavolta a captare le minacce non sono le dichiarazioni di un pentito ma le ambientali piazzate dai Carabinieri del Nucleo Investigativo a casa di Pasquale Galdieri, o milord, capo del Nuovo Clan Partenio, che mentre guarda un TG locale nella sua abitazione, al servizio relativo proprio al magistrato, esclama: “a questo lo uccido”. Le indagini su una serie di estorsioni che avevano riguardato anche lo stesso fratello del boss non erano evidentemente state digerite. Proprio dalla Procura di Avellino partiranno anche numerosi fascicoli relativi alle vicende di usura e alle aste che hanno fatto parte integrante delle inchieste sul clan Partenio e sulle presunte turbativa nell’indagine nota come “Aste Ok”.
LE INCHIESTE IN IRPINIA
Dallo scandalo Aias, che aveva portato alla ribalta la gestione dei fondi per i disabili da parte degli allora vertici della struttura di Via Morelli e Silvati, compreso il rapporto con la onlus Noi con Loro guidata da Lady De Mita (fatti per cui e’ ancora in corso il processo) alle vicende legate alla Sidigas con la relativa richiesta di fallimento e più recentemente anche la condanna in primo grado di Gianandrea De Cesare. Il magistrato ha ereditato al suo insediamento anche il fascicolo su Acs. Sempre D’Onofrio ha coordinato le inchieste relative a casi come quelli del pestaggio in carcere che ha portato misure per alcuni agenti penitenziari. Uno degli ultimi atti firmati dal pm che si prepara a salutare l’ufficio giudiziario avellinese e’ quello relativo alla perquisizione e al sequestro per la vicenda dei concorsi al Comune di Avellino.
Come è noto, nonostante l’archiviazione delle presunte accuse a suo carico in un procedimento alla Procura di Roma e nonostante due Procuratori, l’attuale capo dell’ufficio giudiziario avellinese Domenico Airoma e il suo predecessore Rosario Cantelmo ne avessero tratteggiato l’assoluta indipendenza nel suo ruolo, nell’ottobre del 2021 il Csm non aveva riconfermato il magistrato nella sua funzione di Aggiunto. Intanto però su di lui vale il parere del Consiglio giudiziario del 16.9.2019 è positivo all’unanimità in ordine a tutti i profili e così conclude: “Alla luce degli atti esaminati, del giudizio positivo con riferimento ai distinti parametri, deve concludersi che il dott. Vincenzo D’Onofrio è ampiamente meritevole della conferma nell’esercizio delle funzioni di Procuratore della Repubblica Aggiunto della Procura presso il Tribunale di Avellino, funzioni che ha svolto con massima dedizione ed ottenendo ottimi risultati”. Per quanto attiene ai prerequisiti, nel parere si sottolinea come “il Dirigente evidenzia come in ordine a tale profilo non vi sia nulla da rilevare e come l’attività del collega sia stata caratterizzata da “un’assoluta indipendenza e refrattarietà ad ogni condizionamento nell’espletamento della complessiva attività svolta”.
Una vicenda che ha fatto scattare la piena solidarietà nei suoi confronti. A testimoniarlo anche le parole espresse da Anna Ferrara, referente antiracket del Comune di Napoli ed in passato a capo dell’associazione dei commercianti del quartiere Ponticelli e si è battuta come una leonessa rispedendo al mittente le richieste estorsive nella piccola cartoleria di cui è proprietaria. Risultato: le incendiarono la saracinesca, la minacciarono. Ma lei non si arrese, denunciò e fece arrestare gli estorsori. Quelle rilasciate a Roberto Rosso del Cormezz: «Ma quale corrotto? Non crederò mai alle accuse. Per come ho conosciuto io il dottor D’Onofrio è un magistrato eroico, lo scriva a caratteri cubitali: eroico!».
E continuava: «D’Onofrio venne qui a Ponticelli dopo che mi fecero saltare in aria la saracinesca del negozio. Venne più volte e parlò con i commercianti uno ad uno convincendoli a denunciare i camorristi. Così scattarono blitz e arresti contro i clan e i loro affiliati». Nel 2013 per una stagione purtroppo breve ma felice sulle vetrine quasi tutti i negozi del quartiere Ponticelli campeggiavano cartelli con su scritto: «Io denuncerò, me lo ha imposto il dottor D’Onofrio ma soprattutto la mia coscienza». Un giudizio condiviso da tantissimi anche in provincia di Avellino.