Tentato omicidio Clemente, in Appello la condanna a Di Matola scende a 7 anni

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SAN MARTINO VALLE CAUDINA- Sette anni di reclusione. In Appello, grazie alla scelta di un concordato e alla concessione delle attenuanti generiche, arriva un nuovo sconto di pena per Salvatore Di Matola, 36 anni, difeso dall’avvocato Alessio Ruoppo, autore del ferimento l’undici febbraio del 2022 di Clemente Fiore e di suo nipote Antonio Pacca all’esterno del supermercato Pam di San Martino, in pieno giorno alle 10:15 del mattino.

Questa la decisione dei giudici della V Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli. In primo grado, nel processo con rito abbreviato, il Gup Fabrizio Ciccone lo aveva condannato ad otto anni e quattro mesi di reclusione.

IL VERDETTO: ECCO IL MOVENTE DEL RAID
Nella sentenza di primo grado emessa al termine del processo con rito immediato, il Gup del Tribunale di Avellino Fabrizio Ciccone aveva ritenuto “inattendibili” le dichiarazioni rese da Salvatore Di Matola, che al pm della Dda che lo aveva ascoltato, aveva raccontato che quella mattina aveva violato i domiciliari per recarsi a San Martino a vendere una pistola calibro 6,35 che aveva pagato 400 euro per racimolare qualcosa per la sua famiglia, visto che era perfettamente cosciente che da lì a qualche giorno sarebbe divenuta definitiva una condanna per rapina al Nord e quindi sarebbe tornato in carcere.

Dalle intercettazioni, in particolare quelle realizzate dai Carabinieri del Nucleo Investigativo al San Pio, dove erano ricoverati sia Antonio Pacca che Clemente Fiore, era emerso il vero movente dell’agguato davanti al supermercato Pam e anche il fatto che, contrariamente a quanto sostenuto dal Di Matola, era proprio Fiore l’obiettivo dopo che quello vero del Di Matola (un nipote di Orazio De Paola) era sfuggito visto che nessuno dei due ragazzi che aveva picchiato alla fine lo accompagnarono per fare da esca alla vittima designata della spedizione di Di Matola.

Proprio dal momento che uno dei due ragazzi picchiati a poca distanza dal supermercato dove si trovava Clemente era un nipote del sessantenne esponente del clan Pagnozzi, Di Matola era stato sgridato aspramente da lontano. Tanto sarebbe bastato a far scattare il tentato omicidio con una reazione di impeto nei confronti del sessantenne. Lo ha messo nero su bianco lo stesso Gip nelle circa venti pagine della sentenza di condanna di primo grado.

“Quanto al movente dell’azione criminosa – ha scritto il Gup Ciccone – lo stesso va individuato, con molta probabilità, in un improvviso scatto d’ira del Di Matola, il quale, verosimilmente sotto l’effetto della cocaina, come si evince dal risultato positivo del test di conferma su matrice cheratinica allo stesso praticato in data 10/1/2023, con la pistola di cui era in possesso per chi è intenzionato ad uccidere, decideva di dimenticarsi Clemente Fiore, per chi lo aveva aspramente redarguito chiamandolo ad alta voce e pubblicamente “uomo di merda” dopo averlo visto schiaffeggiare suo nipote Gennaro”.

Proprio il delitto d’impeto aveva però fatto escludere la premeditazione, visto che per il giudice Di Matola era a San Martino Valle Caudina per colpire un altro soggetto e benché armato non pensava sicuramente di dover fare fuoco contro Pacca e Clemente. Di Matola era solo furioso per il “pubblico” richiamo di Clemente nei suoi confronti.