QUINDICI- Le porte del supercarcere di L’Aquila, lo stesso dove e’ recluso da gennaio l’ex primula rossa della mafia Matteo Messina Denaro potrebbero aprirsi con qualche anno di anticipo per il boss quindicese Antonio Cava, classe 56, detenuto da quasi 17 anni (che scatteranno nel prossimo mese di marzo) in regime di 41 bis. Il suo fine pena e’ previsto nel 2035, per il cumulo di due condanne: la prima quella inflitta nell’ambito del maxiprocesso al clan Cava, di cui e’ stato ritenuto uno dei capo promotore (ventuno anni, undici mesi e dieci giorni) la seconda per vicende estorsive nella zona di Palma Campania (sette anni). Dal 2019 pero’ il suo difensore, il penalista Dario Vannetiello, ha impugnato il provvedimento con il quale la Corte di Appello di Napoli aveva parzialmente accolto una richiesta di continuazione tra le varie condanne rimediate dal sessantasettenne. A riaprire la vicenda giudiziaria sono stati con una decisione depositata qualche giorno fa, i magistrati della Corte di Cassazione.
La Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, aveva accolto parzialmente l’istanza di Cava di porre in continuazione svariati reati; in particolare aveva unificato quello di associazione camorristica (art. 416-bis cod. pen.), già unificato ad alcune estorsioni, con una ulteriore estorsione (art. 629 cod. pen.) e
quantificato in modo sensibile l’aumento per il reato satellite (cinque anni di reclusione). Nella motivazione il giudice aveva spiegato perché gli altri reati, snodatisi in tanto tempo, non potessero essere posti in continuazione. Accogliendo una delle due questioni poste dalla difesa relativamente alla “quantificazione della pena per il reato continuato”, i magistrati della Cassazione hanno messo in evidenza come la decisione dei giudici di secondo grado: ” non ha attuato il corretto isolamento della pena base, relativa al più grave reato fra i diversi che componevano la preesistente continuazione interna, e poi non ha motivato adeguatamente il grave aumento quantificato” i giudici hanno deciso l’annullamento dell’ordinanza impugnata (quella del luglio 2019 della Corte di Appello di Napoli) con rinvio sul punto a diversa Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio, in osservanza al principio sulla diversità del giudice di rinvio in materia di applicazione della continuazione (stabilita dalla Corte costituzionale con sentenza n. 183 del 2013) limitatamente alla determinazione della pena in ordine alla continuazione riconosciuta. Per cui la riduzione della condanna riconosciuta in continuazione potrebbe ridurre anche il fine pena per il boss quindicese.