Omicidio Gioia, in aula il ricordo e le lacrime degli amici e del fratello di Aldo

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Il dolore di quella maledetta sera del 23 aprile di un anno fa, è di nuovo piombato nell’aula della Corte d’Assise del Tribunale di Avellino. Un dolore trasversale, in primis della famiglia di Aldo Gioia, ma non solo. In lacrime, ad un certo punto dell’udienza, è scoppiato anche un amico del povero 53enne ammazzato, materialmente, dal fidanzato della figlia Elena.

Franco Ciccone, ancora oggi, appare sconvolto e non riesce a trattanere il pianto mentre ricorda l’amico ed il collega di lavoro. Lui, Aldo, lo ha conosciuto 30 anni fa. Una vita trascorsa insieme. “Eravamo amici, colleghi, molto legati. Spesso ci confidavamo cose personali. Ricordo un Aldo molto cambiato negli ultimi tempi. Era rammaricato, non era d’accordo che Elena frequentasse quel ragazzo (Giovanni Limata). Però non mostrava mai rabbia, anzi, cercava sempre di fare da paciere”.

Le lacrime scendono quando la mente di Franco va agli ultimi tempi di vita dell’amico. “Non era più lo stesso, era triste, non riconosceva più Elena, diceva che era cambiata, che era sempre arrabbiata. Era triste, Aldo”.

Eppure Aldo ed Elena erano sempre stati legati. Molto. Spesso sembravano una cosa sola, come conferma un altro amico dell’uomo ucciso un anno fa, ovvero Giovanni Preziosi. “Io ed Aldo ci frequentavamo da quando avevamo 14 anni. Ricordo che con Elena aveva un rapporto di profonda complicità, un rapporto davvero molto bello”.

La conferma del rapporto speciale padre-figlia, arriva anche da Giancarlo Gioia, uno dei due fratelli di Aldo. “Con mio fratello avevo un rapporto quotidiano, nonostante io non viva più ad Avellino. Ma ci sentivamo ogni giorno. Mi aveva parlato di Limata: Aldo non era preoccupato, era dispiaciuto. Mi ricordo che la sera in cui quel ragazzo prese a schiaffi Elena, io chiamai Aldo. Mi rispose, però, mio figlio e la cosa mi sembrò strana. Mio figlio mi raccontò quello che era successo e mi disse che lo zio era un po’ triste. Me lo feci passare. Lui cercò di minimizzare la cosa”.

“Se Aldo fosse stato davvero preoccupato – prosegue Giancarlo – avrebbe agito in modo diverso. Pur non essendo un violento, avrebbe affontato Limata. Il fatto è che lui non lo ha mai considerato come il fidanzato di Elena. Aldo e la figlia erano insperabili, trascorrevano molto tempo insieme e poi, erano degli abili pescatori di calamari. Mio fratello l’ho sentito al telefono anche il giorno prima dell’omicidio. Gli avevo regalato un gozzo di legno proprio per andare a pescare”.

Le terribili scene del 23 aprile vengono rivissute tramite il racconto di Fabio Policino, professore di Medicina legale all’Università Federico II di Napoli, che analizzò la perizia sul corpo del povero Aldo dalla dottoressa Semenza.

“Il 53enne fu raggiunto da tre colpi di coltello da caccia al collo ed al torace. Tre colpi tutti molto penetranti, in grado di raggiungere gli organi vitali della vittima. Il risultato fu che si produsse l’emorragia che non dava spazio ai polmoni di espandersi, tanto quanto gli organi addominali. Quindi ci fu mancanza di ossigeno al cuore, ipossemia. Il cuore andò in sofferenza tanto da arrestarsi nonostante le manovre poste in essere”.

“C’erano poi altri tipi di lesioni prodotte da coltello, che vanno intese come lesività anche violenta. Lacerazione totale delle arterie radiali. Tutte queste lesioni agli arti superiori, certamente superiori a cinque, di fatto vanno intese come lesività subita nel corso del tentativo di difesa della vittima rispetto all’aggressione. La lesività della gamba destra dal lato interno non mi spiego come fosse stata inferta. Si può immaginare una posizione supina, forse c’è stato accanimento da parte dell’aggressore”.

L’avvocato Brigida Cesta, che difende i fratelli Gioia costituitisi parte civile, chiede al medico: “È possibile evincere la carica emotiva dell’aggressore?”.

Per Policino, “l’aggressore se vuole fare solo un’azione dimostrativa non cerca di affondare colpi ma di usare la lama. La violenza del Limata fu grande perché riuscì a vincere la resistenza anche delle ossa, che furono tagliate. L’ansia non può essere considerata un disturbo mentale. È componente della nostra vita, quasi quotidianamente. Non è l’ansia ad essere sufficiente a considerare il soggetto in quel momento incapace di intendere e di volere”.

L’ultimo teste, tutti convocati dall’avvocato Cesta, è stato un consulente informatico: Pio Catello Buono.

Ora tutti i riflettori sono puntati sulla prossima udienza, quella di mercoledì 27 aprile. Dovranno essere ascoltati, infatti, Giovanni Limata ed Elena Gioia.