Autismo, dalla diagnosi precoce al ruolo della scuola. La parola alla dottoressa Maria Pia Riccio

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Auditorium di Savignano, il tavolo dei relatori

“I Disturbi dello spettro autistico. Dalle linee guida di diagnosi e trattamento, alla realtà territoriale” questo il tema del convegno organizzato a Savignano Irpino dal Centro medico sociale Don Orione. Una due giorni di lezioni e approfondimenti per capire, con gli esperti del settore come riconoscere, trattare e curare l‘autismo. A presentare il meeting, il direttore del Centro Fabrizio Lanciotti. Tra i relatori della mattina, i neuropsichiatri infantili, Goffredo Scuccimarra, Giancarla Auricchio, Giovanna Gison, Rosamaria Sicarusano e la psicologa psicoterapeuta Maria Marino.  Abbiamo intervistato la dottoressa Maria Pia Riccio, di Ariano Irpino, neuropsichiatra infantile presso l’Università Federico II di Napoli anche lei tra le relatrici del convegno.

Negli ultimi anni si è fatta sempre più urgente l’esigenza di promuovere una diagnosi precoce di autismo. Da che età è dunque possibile ragionare intorno ad alcune caratteristiche del bambino quali possibili indicatori di questa neurodiversità?

Già dai 12 mesi è possibile individuare quelli che noi chiamiamo i segni precoci. Tra i 12 e i 18 mesi con maggiore approssimazione possiamo avvicinarci ad individuare dei deficit primari di quella che si chiama “intersoggettività”, cioè tutte quelle funzioni di sviluppo sociale e comunicativo tipiche di un bambino di quell’età che, nel caso in cui ci sia un disturbo dello spettro autistico – cominciando ad essere deficitarie già tra i 12/18 mesi – è possibile individuare. Non è certo una diagnosi, ma per iniziare un trattamento precoce già tra i 12/18 mesi si può individuare quella che è una condizione di rischio.

Maria Pia Riccio, neuropsichiatra

Mentre per la diagnosi? Diciamo che tendenzialmente già dai 18 mesi possiamo fare una diagnosi, ma quella vera arriva tra i 24 e 36 mesi, fascia di età in cui lo sviluppo proprio delle funzioni di intersoggettività è maggiormente maturo e quindi di conseguenza nel caso in cui ci sia un deficit è facilmente identificabile.

Quali sono i segnali evidenti che ti fanno veramente capire che tuo figlio ha l’autismo? Tra i segnali, anche più semplici, che i genitori riportano e al pediatra e al neuropsichiatra c’è ad esempio che il bambino chiamato non si gira, “lo chiamo e non si gira. Credo sia sordo” dicono i genitori. Oppure la mancanza di contatto oculare, quindi la difficoltà a guardare negli occhi l’altra persona, ad agganciare lo sguardo, o ancora la scarsa motivazione ai giochi sociali, per esempio giochi che un bambino piccolo può fare da solo, come il ‘Batti, batti le manine’, il girotondo. Giochi che riguardano una componente relazionale e che in bambini che hanno un deficit nelle funzioni di socialità e di relazione, non sono ben sviluppate. Un  altro segnale precoce è rappresentato dalla presenza di interessi ristretti e ripetitivi. Quindi, ad esempio, un gioco per lo più legato ad attività ripetitive che non sempre sono in grado di finire, come ad esempio, mettere in fila gli oggetti.

Quali sono le figure mediche da interpellare? È fondamentale la figura del pediatra di base. Perché è il primo che deve individuare quelli che sono i segnali precoci e quindi indirizzare all’attenzione del neuropsichiatra infantile. Poi c’è il neuropsichiatra infantile che è la figura medica predisposta per la diagnosi. Ecco perché è consigliato fare prima una visita foniatrica, per escludere deficit neurosensoriali che possono essere legati a una sintomatologia fisica e non all’autismo.

Moltissime insegnanti tra il pubblico

Qual è il ruolo della scuola, che cosa possono fare gli insegnanti? Le insegnanti, la scuola nella sua complessità (compresi i compagni di classe) sono il punto fondamentale per poter aiutare i bambini autistici. A scuola un bambino passa la maggior parte del tempo e la scuola è il posto dove i bambini possono stare in contatto con altri bambini. Nell’autismo parliamo di un deficit relazionale, quindi di una difficoltà ad interagire. È qui che la scuola viene in soccorso perché è come se noi dovessimo allenare una funzione (quella dell’interazione) e la scuola è la palestra dove allenare tale funzione di interazione. Quindi, se la scuola è la palestra, l’insegnante è la figura chiave per poter mediare qualora il bambino non riesca a relazionarsi in maniera adeguata. In classe è necessario creare dei gruppi di lavoro coinvolgendo il bambino anche in attività più facilitate attraverso immagini che semplifichino la comprensione.

Come può formarsi l’insegnante, non solo quello di sostegno, ma quello di classe? Eventi come questo organizzato dal Don Orione di Savignano diventano fondamentali. C’è bisogno di una formazione costante da fare a tutti gli insegnanti. Interventi che andrebbero promossi dal territorio laddove possibile perché a livello ministeriale purtroppo non c’è ancora una grandissima attenzione. Diventa quindi fondamentale partecipare ai corsi di formazione. Poi, certamente, è fondamentale la sensibilità di ogni singolo insegnante nel voler formarsi.

 

di Maria Giovanna La Porta

 

(*foto di Pasquale Mauriello)