Vesuvio, telecamere e droni per combattere la criminalità ambientale

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Per proteggere angoli di paradiso come il Parco Nazionale del Vesuvio e la Riserva Naturale “Tirone Alto Vesuvio”, esposti costantemente al rischio di aggressioni, gli uomini e le donne del Reparto Carabinieri Parco Nazionale del Vesuvio e i loro colleghi del Reparto Biodiversità di Caserta svolgono un compito difficile in un territorio dove, per decenni, la criminalità organizzata ha deturpato lo straordinario patrimonio naturalistico con lo sversamento indiscriminato di rifiuti speciali, l’abusivismo edilizio, il bracconaggio e altri tipi di reati.

D’ora in avanti potranno contare su due droni di ultimissima generazione, dotati di sensori termici e di tutti gli strumenti del caso per individuare e reprimere condotte ambientali illecite.

La “svolta tecnologica” è arrivata all’indomani della terribile stagione degli incendi dell’estate 2017 che ha devastato tutta la fascia pedemontana del vulcano più amato e temuto al mondo

Gli investigatori si sono subito messi al lavoro. Il Tenente Colonnello Antonio Lamberti, comandante del Reparto Carabinieri Parco Nazionale del Vesuvio, ha coordinato personalmente le indagini, fornendo alle Procure di Napoli Nord, Nola e Torre Annunziata tutti gli elementi essenziali per perseguire i responsabili di questa catastrofe: “Con il metodo delle evidenze fisiche – spiega mostrando la mappa del disastro – abbiamo individuato tre distinti punti di insorgenza, vale a dire i luoghi da cui hanno preso le mosse i focolai per poi diffondersi rapidamente in tutto il circondario”. Al momento, anche se non tutti i procedimenti sono chiusi, sembra possa escludersi la pista legata ad una “vendetta” dei “signori dell’abusivismo” contro gli abbattimenti in corso. Le prove raccolte farebbero pensare, invece, ad azioni finalizzate a favorire il fenomeno del bracconaggio, attraverso la pulizia del sottobosco per agevolare l’attività venatoria ovvero a tentativi di liberarsi di rifiuti urbani speciali o ingombranti. Il forte vento e la siccità perdurante con una vegetazione fortemente disidratata.

I due droni e le 35 telecamere della videosorveglianza installate su circa 40 chilometri di dorsale del Parco Nazionale del Vesuvio serviranno proprio ad evitare che questo scenario apocalittico si ripeta. Le immagini raccolte, attraverso un server installato presso il Palazzo Mediceo di Ottaviano, sede dell’Ente Parco, sono trasmesse alla locale stazione forestale e al Reparto per le valutazioni di carattere investigativo.

“Abbiamo un rapporto di stretta sinergia e collaborazione con i carabinieri forestali – afferma il Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Agostino Casillo – intendiamo continuare su questa strada, nel rispetto dei rispettivi ruoli, fornendo ai militari gli strumenti necessari per poter svolgere al meglio i loro compiti di prevenzione e repressione dei reati ambientali”. Senza dimenticare la convenzione con il Reparto Biodiversità di Caserta con cui vengono definiti i lavori di ingegneria forestale e di riqualificazione della sentieristica che conduce al cratere, altrettanto importanti ai fini della tutela della pubblica incolumità (si pensi al dissesto idrogeologico) e dello sviluppo turistico della zona.

I droni avranno una grande utilità sia per il controllo delle aree di difficile accesso che per garantire una visione d’insieme nel caso di abusi edilizi, coltivazioni non autorizzate di cave o incendi. Il tutto senza attendere l’arrivo di un elicottero che non sempre è disponibile e, soprattutto, presenta dei costi per la collettività molto più elevati. Per di più si potranno rilevare dati per attività tecniche volte, ad esempio, a studiare le soluzioni ottimali nel caso di fenomeni franosi e altro.

Con un organico di trenta unità operative e quattro stazioni dipendenti (Boscoreale, Torre del Greco, Ottaviano e San Sebastiano al Vesuvio) la struttura sorveglia un territorio che interessa tredici comuni in cui paesaggi mozzafiato si intrecciano a coltivazioni secolari e vigneti pregiati. Su tutti domina il Vesuvio, a’ Muntagna come lo chiamano gli abitanti delle pendici, forse per esorcizzare la paura.