“I parchi da divieto ad opportunità” è il tema del convegno a Nusco organizzato da Federcaccia di Avellino. Presenti due neo eletti presidenti del Parco Regionale del Partenio Franco Iovino e del Parco Regionale dei Monti Picentini Fabio Guerriero, Antonio Limone direttore generale IZS, Maurizio Petracca presidente della commissione regionale Agricoltura, Felice Argenio, Vincenzo Veneziano, Sabatino Troisi e Antonio Raffaele dell’ATC di Avellino, oltre al presidente provinciale di Federcaccia di Avellino Antonio Matarazzo.
Al centro del confronto, più delle opportunità che offrono i Parchi, la problematica del crescente numero di cinghiali. Agli inizi del ’900 il cinghiale (autoctono e nazionale) si trovava solo in alcune aree: la Maremma Tosco-laziale, Gargano, Abruzzo, Appennino Calabro-Lucano, Sardegna. Dagli anni ’60 però si è cominciato a ripopolare per rendere più fruttuosa la caccia con cinghiali di origine centro-europea, peraltro di taglia maggiore.
Una pratica che ha avuto un notevole successo: totalmente onnivori, adattabilissimi, favoriti indirettamente dal riscaldamento globale, i cinghiali sono in grado di moltiplicarsi rapidamente. Gli agricoltori e i raccoglitori di tartufi da circa 20 anni stanno denunciando la considerevole presenza degli ungulati, ma, nonostante ciò, i ripopolamenti si continuavano a fare, sia quelli programmati dalle provincie, sia quelli clandestini fatti al solo scopo di far aumentare, maliziosamente, ancora di più la presenza dell’animale sul territorio, per poi cacciarli.
Troisi e Matarazzo hanno meglio precisato la provenienza della specie di cinghiali presenti sul territorio, frutto dell’incrocio fatto in allevamento con il maiale domestico. Troisi ha evidenziato quanto fosse pericolosa l’attività di caccia al cinghiale del tipo “ braccata”, causa non di rado di incidenti di caccia, anche mortali.
Nel corso del confronto è emerso come la specie starna (Perdix perdix) è oramai estinta, i fagiani (Phasianus colchicus) (ora polli colorati) non si vedono più, la lepre (Lepus europaeus) con pochissimi esemplari e di tante altre specie, che sono riportate nei vari calendari venatori, che si succedono ogni anno pubblicati dalla Regione Campania riportati nell’elenco delle specie “ protette temporaneamente “, come la coturnice (Alectoris graeca), cervo (Cervus elaphus), daino (Dama dama) e il capriolo (Capreolus capreolus), non c’è più traccia.
“Bene farebbero ad occuparsene di questo le associazione venatorie e della formazione dei loro iscritti. Ciò ridurrebbe anche il fenomeno del bracconaggio molto presente nella nostra provincia ed un miglior rapporto tra il mondo venatorio e quello ambientalista”, è la tesi sostenuta dall’associazione “Ambiente e/è Vita”.
Apprezzato l’intervento dell’Architetto Fabio Guerriero che ha precisato come “nelle aree protette vanno prima valutate le tecniche ecologiche, e non vanno concesse attività di disturbo alla fauna selvatica. Snaturato è il progetto di creare una filiera per la commercializzazione di carne di cinghiale proveniente dall’area Parco”.
A settembre, Parchi e Riserve naturali hanno firmato un’intesa su come contenere il numero dei cinghiali nell’area protetta con l’assessore regionale ai Parchi e Riserve, Lorenzo Berardinetti, Antonio Carrara in rappresentanza del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, Claudio D’Emilio per il Parco Nazionale della Majella, Igino Chiuchiarelli per il Parco Regionale Sirente-Velino, Giuseppe Di Marco componente del direttorio delle riserve regionali e rappresentante di Legambiente e Antonio Innaurato, presidente della commissione Agricoltura Regione Abruzzo.
“Il protocollo è stato sottoscritto dai rappresentanti del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga, Wwf, lega Coop e Ambiente e Vita, perché questo non avviene anche nella nostra regione?”, insiste l’associazione ambientalista.
“I dati che noi disponiamo sul numero dei cinghiali all’interno del Parco Regionale dei Monti Picentini, non ci fanno rilevare delle particolari esigenze in merito. Il ruolo principale è da attribuire al lupo, il predatore naturale degli ungulati. Diciamo che la sua parte la sta facendo molto bene, tant’è che in quest’area non esiste un’emergenza o se c’è è trascurabile. Il Piano adottato dalla Regione non tiene in considerazione dell’importanza e del compito ecologico del lupo. Una riduzione sensibile dei cinghiali in quest’area protetta potrebbe portare altre conseguenze, per esempio il forte incremento della predazione sugli animali di allevamento”.
“Infine, la Regione dovrebbe dimostrare maggiore interesse verso le aree protette. Certo nominare i Presidenti dei Parchi dopo circa tre anni non è il massimo dell’interesse politico, oltretutto prevedere, per i Parchi regionali, un trasferimento finanziario di 10mila euro significa avere l’intento distruggere il patrimonio naturale regionale. A questo proposito la Regione farebbe bene ad incrementare urgentemente ed in maniera sostanziale le risorse ed a completare, con altrettanta impellenza, gli organi direttivi. Le aree naturali protette – conclude la nota dell’associazione “Ambiente e/è Vita” – sono un importante organo di sviluppo per le aree interne, le realtà dei Parchi del centro-nord ce lo insegnano”.