Nasa, ecco le novità sulla sonda spaziale Juno

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Un viaggio che sta quasi per concludersi quello della sonda spaziale Juno. Fa parte di una missione firmata NASA che ha l’obbiettivo di studiare il campo magnetico di Giove e che sta cominciando a rivoluzionare tutte le teorie che finora sono state avanzate.

Partita il 5 agosto 2011 da Cape Canaveral, terminerà il suo viaggio nello spazio nel mese di febbraio del 2018 ed è arrivata nell’orbita di Giove il 4 luglio 2016 (in Italia era il 5 luglio) per individuare l’evoluzione e le proprietà strutturali interne del pianeta gassoso, l’origine del suo campo magnetico, la quantità di acqua presente, i venti nella bassa atmosfera e la quantità di ossigeno e azoto.

La previsione certa della fine del suo viaggio intorno a Giove è assicurata dal fatto che le radiazioni del campo gravitazionale saranno molto intense e le spesse pareti in titanio di cui la sonda è provvista non potranno resistere più di un anno e mezzo. Gli strumenti scientifici attraverso i quali la sonda aiuterà gli scienziati a condurre i loro studi permettono di penetrare lo strato più esterno del pianeta e sono dettagliatamente descritti in un articolo sulla sonda spaziale Juno che ci fornisce curiosità anche su quello che il team della missione ha voluto spedire nello spazio insieme alla sonda spaziale: una targa dedicata a Galileo Galilei e tre figurine Lego che raffigurano Galileo, Giove e Giunone.

Diverse sono state finora le importanti scoperte scientifiche che questa sonda, che rientra nel programma spaziale della NASA New Frontiers, ha fatto. Partendo da alcuni obiettivi principali, come quelli già citati di studiare l’abbondanza d’acqua, i venti nella bassa atmosfera, la quantità di ossigeno e azoto, l’origine del campo gravitazionale e magnetico del pianeta, misurarne l’atmosfera e comprendere la struttura tridimensionale della magnetosfera dei poli, ad oggi esistono numerose fotografie del pianeta con colori potenziati e in proiezione stereografica. Con in suoi strumenti la sonda riesce a penetrare lo strato più esterno del pianeta gassoso e ogni 53 giorni l’orbita di Juno avvicina la sua sonda al pianeta percorrendo un viaggio di due ore che dal polo nord del pianeta raggiunge il punto di minima distanza dal suo obiettivo e arriva sopra al polo sud. Attraverso le immagini che la sonda ha prodotto, si può rilevare che molto probabilmente le nubi sopra le quali passa sono composte da ghiaccio e ammoniaca. Guardando le foto che riguardano l’emisfero settentrionale, è stata constatata la presenza di cicloni che raggiungono dimensioni addirittura di 10 volte più grandi dei cicloni terrestri, con un’ampiezza impressionante. Queste perturbazioni non erano state osservate fino a questa missione e la loro dimensione potrebbe addirittura contenere il nostro pianeta.

I primi risultati sono stati presentati all’European Geosciences Union General Assembly 2017 che si è tenuto a Vienna nello scorso mese di aprile. In realtà, la presenza di ammoniaca nella composizione delle nubi era già nota agli studiosi, ma ciò che emerso dalla nuova indagini è che la fascia di ammoniaca si estende su una profondità di 300 chilometri sotto le nubi. Sono altre le scoperte che fanno pensare agli scienziati di dover rivedere quasi interamente tutte le teorie già avanzate riguardo al pianeta gassoso. Una fra tutte quella relativa allo strato sottile di idrogeno liquido su cui piove elio, avente uno strato più spesso di idrogeno metallico e un nucleo solido a 70.000 chilometri di profondità sotto la superficie dell’atmosfera. Ciò che appare oggi, invece, si comincia a far pensare che gli involucri che caratterizzano Giove non siano uniformi e che ci siano molte disomogeneità. Anche il nucleo, considerato solido, è verosimilmente fluido e si troverebbe al di sotto di uno strato di idrogeno metallico.

Anche lo studio del campo magnetico, tra gli obiettivi principali della missione, dimostra quanto questo sia più forte e irregolare rispetto ai risultati ottenuti dai precedenti studi. La dinamo che produce il campo magnetico potrebbe, infatti, trovarsi all’interno dello strato di idrogeno e a quote diverse, più elevate di quanto ipotizzato finora. La sonda ha anche rilevato spettacolari aurore che si verificano ai poli del pianeta e in cui sono coinvolti elementi come il metano e una molecola composta da tre atomi di idrogeno.

La sonda ha raggiunto il perigiove, il punto di massimo avvicinamento al gigante gassoso, come gli scienziati chiamano Giove, lo scorso 19 maggio. Ad una distanza di soli 3500 chilometri, lo strumento Juno Cam, una camera che acquisisce le immagini ad alta definizione delle regioni polari di Giove, ha realizzato uno scatto catturando un’immagine che descrive una tempesta che avanza in senso antiorario nell’emisfero sud del pianeta. Tra gli strumenti, anche un prodotto dell’eccellenza italiana, il JIRAM, il Near-Infrared Mapping Spectrometer che studia la dinamica e la chimica delle aurore gioviane.

Aspettiamo altri risultati dopo il prossimo passaggio previsto per l’11 luglio 2017 giorno in cui Juno ha in programma di volare sopra la Grande Macchia Rossa.