Carica in settimana, zampata risolutiva ed inchino sotto la curva. Sono le tre mosse del trascinatore Angelo D’Angelo salito ancora una volta in cattedra per togliere le castagne dal fuoco all’Avellino in un avvio di campionato vissuto tra luci e ombre. E’ così che D’Angelo è abituato a fare nei momenti bui: lui prende la parola, ci mette la faccia ma alle parole fa seguire i fatti, e che fatti.
Nella morbida zampata che ha steso lo Spezia c’è tutta la tensione di una settimana scaricata in un solo colpo. A modo suo. Tensione silenziosa accumulata insieme ad un gruppo che si è compattato seguendo il suo leader carismatico legittimato nella difficoltà. Non roba da poco per D’Angelo che ormai non ci fa nemmeno più caso perché la maglia biancoverde la sente come una seconda pelle, una causa per la quale va dato tutto.
Leader col vizietto. I gol di D’Angelo con l’Avellino sono diventati sedici, di cui nove in cadetteria. Niente male per un centrocampista che fa dei muscoli e della quantità le sue doti principali. Prerogative alle quali D’Angelo ha abbinato il tempo d’inserimento su palla inattiva e sul movimento senza palla. E’ andata così contro la Pro Vercelli e il Como lo scorso anno con due acuti vitali per l’Avellino ora rigenerato dall’opportunismo del suo capitano, terminale di una squadra giocoforza operaia.
Un modo per festeggiare i duecento gettoni in campionato (playoff compresi) con la casacca dei lupi. Con il prolungamento del contratto sullo sfondo. Sì perché D’Angelo continua a trascinare l’Avellino in scadenza, status che ai nastri di partenza non lo poneva tra le prime scelte di Toscano. Da capitano responsabile, lui non ne fa un problema anche perché lo squillo che ha frastornato lo Spezia deve aver convinto una volta per tutte la dirigenza biancoverde a proseguire il matrimonio. Se i contratti si guadagnano con le prestazioni, D’Angelo può dormire sonni tranquilli.